Nicole Vulser
Leggi i suoi articoliNel piccolo, ermetico, mondo delle banche, l’annuncio di UniCredit, lo scorso autunno, è arrivato come un fulmine a ciel sereno: il gruppo bancario italiano ha comunicato di voler vendere parte della sua collezione d’arte, ricca di oltre 60mila opere. Più di trenta istituti finanziari nel mondo hanno accumulato tesori, perlopiù ignorati dal pubblico, ma degni dei più grandi musei. La Deutsche Bank possiede 57mila opere, le olandesi Ing e Abn Amro ne possiedono, rispettivamente, 10mila e 5mila.
Non sono da meno le svizzere Ubs (oltre 30mila) e Julius Baer (5mila), così come le americane Bank of America e JPMorgan Chase Art Collection (30mila). Qualunque siano le difficoltà da affrontare (una crisi finanziaria o, più di recente, il crollo dei tassi di interesse che restringe i margini di manovra) le banche sono restie a mettere sul mercato anche una minima parte delle proprie collezioni d’arte: preferiscono non correre il rischio di appannare la propria immagine, vendendo ciò che ritengono faccia parte dell’identità dell’azienda.
Perché, quindi, UniCredit ha deciso di trattare le sue opere d’arte come se fossero semplici attivi e quindi di separarsene, rinunciando all’impegno preso sulle avanguardie artistiche negli anni 2000? Alla testa della banca dal 2016, Jean-Pierre Mustier ha operato una svolta strategica, razionalizzando il portafoglio del gruppo e riducendo drasticamente i costi. L’intenzione è di trasformare l’immagine dell’azienda, sviluppando i prestiti sociali, incluso il microcredito. Mustier ha promesso di investire in questo progetto 79 milioni di euro, grazie anche al ricavato dalla vendita di 312 opere.
«Un messaggio ansiogeno»
Il Klimt e i Goya non si toccano. Ma Christie’s ha già battuto all’asta a Londra, lo scorso 4 ottobre, opere più recenti tra cui alcuni lavori del francese Yves Klein (1,82 milioni di euro), dell’americano Sam Francis (375.500 euro) e dei tedeschi Andreas Gursky (203.500 euro) e Gerhard Richter (8,15 milioni di euro).
Sculture e dipinti che erano stati presentati cinque anni fa al MAMbo di Bologna nella mostra «La Grande Magia». Altre opere sono state messe all’asta, sempre da Christie’s, ad Amsterdam, il 25 e 26 novembre. Il resto lo sarà a Milano nel 2020. La stima totale si aggira intorno ai 50 milioni di euro.
Alcuni banchieri, conservando l’anonimato, ritengono che questa operazione non abbia alcun senso sul piano finanziario: il ricavato dalla vendita rappresenta poca cosa nell’utile netto di UniCredit atteso per il 2019 (4,7 miliardi di euro). «Mettere in vendita persino le opere d’arte è un messaggio ansiogeno che si trasmette ai dipendenti», spiega uno di loro. Le opere d’arte non andrebbero in alcun modo cedute.
Neanche la Deutsche Bank, che lo scorso luglio ha annunciato un drastico taglio degli effettivi, con la soppressione di 18mila posti, toccherà la sua collezione d’arte. «Fa parte del nostro dna e della nostra strategia di comunicazione, assicura Friedhelm Hütte, direttore della collezione della banca tedesca. Circa il 95% delle nostre opere sono esposte nei nostri locali e, ogni giorno, apportano un po’ di gioia e bellezza al personale e ai clienti».
Poi aggiunge: «Non abbiamo mai utilizzato l’arte come un accessorio di lusso, per noi è una fonte di ispirazione per i dipendenti». Fino a quindici anni fa la Deutsche Bank acquistava esclusivamente nei Paesi germanofoni, ora fa acquisizioni in tutto il mondo. Un ristretto team interno scruta il mercato dell’arte mentre tre esperti esterni, tra cui Udo Kittelmann, direttore della Nationalgalerie di Berlino, Victoria Noorthoorn, curatrice indipendenteargentina, e Hou Hanru, critico d’arte cinese e direttore artistico del MaXXI di Roma, propongono regolarmente una cinquantina di opere da acquistare.
La decisione finale spetta alla direzione della banca, che investe in genere «tra 8mila e 12mila euro» a opera, precisa Friedhelm Hütte. Quando la banca attraversa un periodo critico, spiega Hütte, «riduciamo un po’ gli acquisti o ci focalizziamo sui giovani artisti», un po’ meno cari.
Intesa Sanpaolo, invece, primo gruppo bancario italiano, punta sulle grandi mostre. Il 25 ottobre ha aperto nel suo museo milanese del polo Gallerie d’Italia l’eccellente mostra «Canova-Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna». Una doppia retrospettiva, che presenta 150 capolavori, organizzata in collaborazione con il Thorvaldsen Museum di Copenaghen e l’Ermitage di San Pietroburgo.
I visitatori vi possono ammirare le «Tre Grazie» nella versione più sensuale dello scultore italiano (1757-1822) e in quella del suo grande rivale danese (1770-1844), anche lui attivo a Roma. Intesa Sanpaolo si è imposta come operatore imprescindibile nel settore museale. Nel 2018, le Gallerie d’Italia hanno accolto più di 500mila visitatori.
«Con una collezione di 30mila opere (tra cui un’Hydria greca del 460 a.C., l’ultima tela dipinta da Caravaggio e opere straordinarie firmate Umberto Boccioni e Lucio Fontana) la banca possiede oggi tre musei, a Milano, Vicenza e Napoli», spiega Michele Coppola, responsabile dei beni archeologici, storici e artistici del gruppo.
Come un grande museo, la banca, che lavora in modo permanente con un centinaio di storici dell’arte, riceve anche donazioni. Il suo tesoro è stato di recente stimato a più di 840 milioni di euro, grazie anche al dono della collezione di Luigi e Peppino Agrati: la quotazione dei Warhol e Rauschenberg della collezione negli ultimi anni è salita alle stelle.
In confronto i francesi fanno una magra figura
Neanche il piano di tagli per 1,5 miliardi di euro entro il 2020 e 9mila dimissioni volontarie può frenare la strategia di Intesa Sanpaolo. La banca continua a finanziare i restauri di opere d’arte ed è intervenuta su più di 1.300 progetti in trent’anni, nelle chiese, nei siti archeologici, oltre che nei musei pubblici.
In confronto alla miriade di capolavori accumulati dagli istituti bancari in Italia, in Svizzera o in Germania, la Francia fa una pallida figura. Eppure la Société générale era stata pioniera in materia quando, nel 1995, l’allora direttore generale Marc Viénot aveva spostato la sede della direzione dal centro di Parigi al quartiere periferico della Défense. Viénot proponeva allora l’arte come fonte di consolazione e di arricchimento per i dipendenti, riluttanti a lasciare i bei quartieri, per vivere meglio nei grattacieli.
La banca aveva dunque lanciato una politica attiva di acquisizioni. Oggi possiede 1.250 opere (tra cui uno dei primi lavori di Pierre Soulages, del 1958) che sono esposte nella sede della banca e talvolta vengono prestate alle sue filiali. Nel 2018, 4mila visitatori, tra cui scolaresche e studenti di Belle Arti, hanno potuto vedere la spettacolare collezione. Da cinque anni i dipendenti vengono coinvolti in prima persona negli acquisti. Un sogno per alcuni di loro.
«Gli interessati devono scrivere una lettera di motivazione e dimostrare le loro conoscenze prima di cominciare a collaborare con uno dei nostri esperti delle case d’aste, spiega Caroline Guillaumin, direttrice delle risorse umane e della comunicazione della Société générale. Nella riunione del comitato di selezione, che si tiene due volte l’anno, la potenziale valorizzazione dell’opera non costituisce una priorità nella nostra scelta. La scegliamo solo ed esclusivamente se pensiamo che, una volta sistemata negli uffici, piacerà ai collaboratori. Il nostro è un impegno a lungo termine», assicura. Anche nei momenti più critici, la banca non ha venduto alcuna opera.
Grazie all’organizzazione di «cartes blanches» (mostre monografiche) per fotografi e alle borse per giovani artisti, due all’anno, Hsbc possiede ormai quasi 600 opere, mentre Neuflize Obc (Abn Amro) ha acquisito più di mille fotografie e installazioni video dal 1997. «L’obiettivo della banca è di sostenere i nuovi talenti», spiega Caroline Stein, responsabile del mecenatismo. La collezione è organizzata intorno a tre temi: il ritratto d’artista, la memoria e l’identità. Gli scatti sono esposti negli uffici, nei corridoi e anche nei salotti dove si ricevono i clienti più facoltosi: per dare loro delle idee.
© «Le Monde» e per l'Italia «Il Giornale dell'Arte». Traduzione di Luana De Micco