Fiorella Fiore
Leggi i suoi articoliMatera. Il sindaco Raffaello de Ruggieri ha annunciato di voler acquisire la Chiesa rupestre di Santa Maria della Valle, di proprietà privata, mediante una procedura di esproprio per pubblica utilità (al momento non ancora conclusa) per permettere il restauro del bene e renderlo finalmente fruibile. La chiesa, a tre navate con rosone monolitico e abside, ha un’articolata facciata in muratura con portale a firma di Leorio da Taranto datato 1283; caratteristiche che la rendono di particolare pregio nell’ambito del patrimonio rupestre.
L’interno doveva essere riccamente dipinto e, se la maggior parte degli affreschi è andata perduta, le testimonianze pittoriche superstiti sono comunque degne di nota, in particolare la «Deesis», con Cristo tra Maria e Giovanni databile al XIII-XIV secolo in cui compare l’epigrafe «S. Maria de Valle Verde». Dalla seconda metà del XVIII secolo la chiesa è stata utilizzata come ovile.
«Le condizioni di degrado e di abbandono in cui versa questo sommo esempio di architettura religiosa materana, ci spiega il soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Basilicata Salvatore Buonomo, preoccupano perché l’immobile è in una situazione di stallo, nonostante l’azione sinergica avviata dalla Soprintendenza e dal Comune di Matera. Santa Maria della Valle rappresenta la sintesi di tutti i valori architettonici e artistici della produzione culturale che il territorio è in grado di offrire, ma soffre di tutti fattori di degrado tipici delle fabbriche entroterra o che sfruttano le cavità entro i banchi di tufo di cui la città di Matera è ricca.
È una chiesa rupestre finemente decorata che, analogamente ad altri episodi architettonici, è stata concepita sfruttando le asperità della nostra area geografica e da ciò trae il maggiore significato espressivo. Il degrado è generato da una concomitanza di fattori: microclima interno soggetto a repentine variazioni, acqua di infiltrazione che permea dalla roccia-tetto a causa della congenita natura del banco calcarenitico (molto poroso e relativamente morbido), umidità di risalita, elevato contenuto d’acqua nelle murature, ingente presenza di sali e di biodeteriogeni ecc.
La compresenza di questi elementi e soprattutto la circostanza che l’ambiente ipogeo comunica con l’esterno tramite tre grosse aperture laterali rendono la chiesa un unicum rispetto alle altre chiese rupestri della zona. A queste criticità siamo chiamati a rispondere, facendo il possibile per anticipare i danni, evitando che a questi si sommino quelli prodotti da incuria, abbandono e disinteresse».
Per quanto riguarda le azioni che la Soprintendenza metterà in campo, dopo «un attento studio e monitoraggio del complesso, effettuato dai propri funzionari, architetti e restauratori, ha fatto seguito l’avvio del procedimento per l’esecuzione di interventi conservativi che in prima istanza vengono imposti al soggetto che detiene la titolarità del bene.
L’Amministrazione si impegnerà a valutare forme di sostituzione in caso di inerzia del soggetto tenuto a provvedervi. Gli interventi di cui il bene ha bisogno sono certamente legati prioritariamente alla necessità di fronteggiare l’azione di danneggiamento provocato dalle acque meteoriche che, oltre ad aggredire la struttura impoverendone le capacità di resistenza, danneggiano i dipinti parietali presenti sugli intonaci interni», conclude Buonomo.
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