Dario del Bufalo
Leggi i suoi articoliPensavamo che dopo il Medioevo, col Rinascimento, il nudo nell’Arte avesse di nuovo conquistato quella naturale libertà dell’arte classica e che la potesse mantenere. Invece poi arriva l’Inquisizione, che per fortuna in seguito fu scalzata dall’Illuminismo, e così sembrava ancora una volta che il «nudo eroico» maschile o quello sublime e naturale femminile, fossero definitivamente sdoganati per la morale dei benpensanti.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento però nascono i movimenti sull’emancipazione femminile e addirittura nel 1914 Mary «the slasher» Richardson, una giovane suffragetta, entra nella National Gallery di Londra e «squarta» con un ombrello la Venere di Velázquez, infierendo sei tagli alla tela perché si sentiva offesa da quelle nudità.
La stessa sorte «ombrellifera», ma per ragioni differenti, la ebbero il Vaso Portland al British Museum, spaccato con l’ombrello da un ubriaco nel 1845 e la Tazza Farnese nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, presa a ombrellate e frantumata nel 1925 dal custode Salvatore Aita per ragioni sindacali. Sembra che ogni cento anni ci sia un ineluttabile ricorso storico per il quale, una certa parte del mondo riesce a convincere la massa del «mainstream» che c’è la necessità di moralizzare l’arte di questa società corrotta (vedi anche «l’arte degenerata» condannata dal nazismo).
Oggi, cento anni dopo «Mary la squartatrice», la censura nel mondo dell’Arte la fanno gli algoritmi di Internet e tra i più rigorosi ci sono quelli di Facebook, di Instagram o di TikTok, perché questi sono «rispettosi», «inclusivi», «condivisi», «politically correct» ecc. Proprio Facebook ha censurato, sulla pagina del Museo di Vienna, le immagini dei nudi di Schiele, Modigliani, Moser e addirittura l’immagine della protostorica Venere di Willendorf, creata 30mila anni fa! A questo punto il museo ha voluto aprire una propria pagina sul sito porno Onlyfans per promuovere queste opere, onde scongiurare possibili ulteriori censure.
Margaux Brugvin, consulente di alcuni grandi musei parigini, ha dichiarato che i quadri del XVIII secolo con nudi femminili sono delle vere e proprie «riviste porno» e ancora che Zeus sarebbe il più grande predatore sessuale della cultura occidentale (e io che trovavo così elegante e rispettosa della donna la trasformazione di Zeus in un cigno bianco...) e poi che Giove comunque promuove la cultura dello stupro! Ragazzi, siamo alla frutta! Non so più cosa aspettarmi di nuovo e assurdo da questo mondo impazzito sulle questioni di «politically correct», «female nudity respect», «gender inclusivity», «LGBTQABCDEFGH»..., tutte invenzioni anglofone che in Italia non traduciamo perché suonano più fiche così.
Il nudo femminile (ma anche quello maschile) nell’arte occidentale non ha mai avuto una valenza strettamente sessuale, come il fatto che l’organo maschile passi in secondo piano rispetto all’eroicità del corpo nudo e sembra piccolissimo sia nei Bronzi di Riace sia, venti secoli dopo, nel David di Michelangelo. Per il nudo femminile vale lo stesso concetto di bellezza e di natura con la componente trascendentale del Sublime, del Femminino Sacro, della Grande Madre e non certo dell’osceno. Perfino l’esplicito dipinto di Courbet «L’origine del mondo» non si deve intendere osceno, altrimenti negheremmo millenni di tutta quell’attività cerebrale, propria dell’animale uomo, che ancora chiamiamo arte.
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