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Ursula Schulz-Dornburg, «Marsh Arabs / Irak», 1980, dalla serie Vanished Landscapes

© Ursula Schulz-Dornburg

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Ursula Schulz-Dornburg, «Marsh Arabs / Irak», 1980, dalla serie Vanished Landscapes

© Ursula Schulz-Dornburg

A Foto/Industria Bologna la fotografia è di Casa e guarda a Hoet e Beuys

Al centro della settima edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, a cura di Francesco Zanot, il concetto di «Home» è declinato come spazio affettivo, luogo di ricordi e atmosfere oppure come rifugio, villaggio rurale ed edilizia partecipata

È attorno al tema della casa, Home, che si articola questa settima edizione di Foto/Industria, Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro (dal 7 novembre al 14 dicembre) voluta da Fondazione Mast di Bologna. Alla sede di via Speranza una monografica del fotografo canadese Jeff Wall dal titolo «Living, Working, Surviving» (fino all’8 marzo) e nel centro cittadino di Bologna dieci mostre diffuse, visitabili fino al 14 dicembre (l’unica aperta fino all’11 gennaio è quella al MAMbo). Ingresso gratuito per eventi e visita alle oltre 500 opere esposte, in un programma a cura di Francesco Zanot.

«Questa edizione chiude la trilogia (“Food” nel 2021 e “Game” nel 2023), tre temi universali e insieme tre importanti comparti economici, spiega il curatore. Nell’esplorare il tema della casa abbiamo sconfinato in diverse discipline: dall’urbanistica alla psicologia, passando per ecologia, economia e politica. La casa è stata infatti declinata come spazio affettivo, luogo di ricordi e atmosfere oppure come rifugio, come villaggio rurale ed edilizia partecipata, costrutto soggetto al cambiamento climatico. A farlo giovani artisti emergenti, così come nomi storici della fotografia internazionale, dall’Italia all’Africa, in sette sedi, che quest’anno vedono aggiungersi Fondazione Collegio Venturoli e Sottospazio Lab Bentivoglio. Ad avermi ispirato per il programma di quest’anno, l’esposizione “Chambres d’amis” a cura di Jan Hoet, che in Belgio nel 1986 esponeva all’interno di abitazioni private nella città di Gent le opere di una cinquantina di artisti internazionali. E insieme anche la performance dell’artista concettuale tedesco Joseph Beuys, realizzata nel 1974, “I Like America and America Likes Me”, nota come “Coyote”, che trasformava la galleria in una casa. Nel riprodurre entrambi questi approcci, ho pensato alla porosità dello spazio domestico e dello spazio espositivo. Proponendo questa che è anche una riflessione sulla disciplina della fotografia».

 

Moira Ricci, «20.12.53 - 10.08.04 (Patrizia, Mamma, Paola e Gigio)», 2004-14

Quarta casa - Moira Ricci

Venticinque anni di lavori e undici progetti, la fotografa toscana (1977) espone al MAMbo la casa come territorio di affezione, dalle memorie della sua famiglia alla sua terra, la Maremma.

«A casa mi sentivo qualcuno, mentre a Milano ero un nulla – spiega ad esempio di Custodia domestica (2003) – così con una microtelecamera ho ripreso questa gente gigante che entra nella mia intimità, in bagno e nella mia cameretta.»

 

Sisto Sisti, «Festeggiamenti della Befana Fascista (Sinigo, stabilimento Montecatini)», 1941, proiezione, dalla serie Lo stabilimento Montecatini. © Fototeca dell’Archivio provinciale di Bolzano / Sisto Sisti

Microcosmo Sinigo - Sisto Sisti

Una retrospettiva porta a Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna i lavori anni 1930-1950 di Sisto Sisti, operaio specializzato, nato in Emilia-Romagna e trasferitosi ventenne in Alto Adige. Un autodidatta che riprende fabbrica e vita quotidiana al villaggio operaio Montedison di Sinigo.

«Proiettiamo circa 680 immagini selezionate per tema, dai luoghi ai ritratti, provenienti da un fondo d’archivio che raccoglie oltre 13mila suoi scatti», riferiscono i curatori.

 

Ursula Schulz-Dornburg, «Bugis Houses, Sulawesi, Indonesia», 1983. © Ursula Schulz-Dornburg

Some Homes - Ursula Schulz-Dornburg

Nella Pinacoteca Nazionale, una delle più grandi mostre italiane della fotografa tedesca classe 1938. Sei serie offrono allo spettatore uno sguardo documentario pieno di tensioni e permettono di tenere memoria di case che stanno sparendo, dall'Indonesia alla Turchia, passando per Russia e Iraq.

 

 

Vuyo Mabheka, «Yekabani le Blemsday», 2024, dalla serie Popihuise. © Vuyo Mabheka. Courtesy Afronova Gallery

Popihuise - Vuyo Mabheka

L’artista più giovane della Biennale è questo sudafricano classe 1999 che cela nel suo approccio di quaranta collage colorati una gioia che invece non c’è. Alla Fondazione Collegio Venturoli, riprende il nome di un gioco popolare diffuso nelle township, per parlare di precarietà abitativa e politica.

«Orfano di padre e costretto a continui traslochi, ricorda, mi sono rimaste solo otto immagini di me bambino, che ripropongo qui. Appartengo alla generazione dei cosiddetti “nati liberi”, nati dopo l’apartheid, ma dov’è la vera democrazia?».

 

 

 

Julia Gaisbacher, «My Dreamhouse is not a House», 2019, © Julia Gaisbacher by SIAE 2025

My Dream House is not a House - Julia Gaisbacher

Sempre alla Fondazione Venturoli, anche il lavoro dell’artista austriaca, classe 1983, incentrato su Eilfried Huth e il suo progetto di edilizia sociale partecipata degli anni Settanta nella città di Graz, in Stiria. In un video anche alcune interviste, tra cui all’ultranovantenne architetto.

«Le fotografie di queste case sono come ritratti a chi le abita, dichiara la fotografa. Negli anni Novanta il cambiamento politico in Austria ha portato alla fine di questi programmi. Ora tutto ciò è tornato un’utopia».


 

 

Mikael Olsson, «FK11.2002», 2002, dalla serie Frösakull. © Mikael Olsson

Södraskull Frösakull - Mikael Olsson

Terza e ultima testimonianza visiva al Collegio Venturoli è quella dell’artista svedese (1969) che negli anni Duemila in Svezia ha fotografato queste due case dell’architetto modernista Bruno Mathsson, costruite rispettivamente negli anni Cinquanta e Sessanta a Värnamo.

«A Södraskull ho sbirciato gli interni dal giardino, arrampicandomi con una scala. La visuale tra le tende sembrano tagli nei quadri di Fontana», commenta Olsson.

 

 

 

Kelly O’Brien, «Self Portrait in Nanas Bathroom», 2010, dalla serie No Rest For The Wicked. © Kelly O’Brien

No Rest for the Wicked - Kelly O’Brien

Allo Spazio Carbonesi, la fotografa britannica di origini irlandesi (1985) richiama l’attenzione sul lavoro casalingo delle donne, altrimenti invisibile. Racconta O’Brien: «È un progetto molto personale cui hanno preso parte anche mia madre e mia nonna, nata nel 1932 nell’Irlanda rurale».

 


 

Matei Bejenaru, «Vladomira», 2017. © Matei Bejenaru

Prut - Matei Benjenaru

A Palazzo Bentivoglio va in scena la costruzione dell’Unione Europea, grazie a Benjenaru, fotografo rumeno nato nel 1963. Nel 2007 la Romania entra in Europa e lui osserva le mutazioni dei villaggi sulle due sponde del fiume Prut, al confine con la Moldavia. «Questa, dice, è solo una piccola selezione degli oltre 12mila negativi realizzati dal 2010 a oggi».

 

 

 

 

Forensic Architecture, Ricostruzione digitale di Forensic Architecture delle case di al-Ma'in avvolte dal fumo, secondo la descrizione di Salman Abu Sitta di ciò che ha assistito la notte del 13 maggio 1948, quando una milizia sionista ha attaccato e spopolato il villaggio della sua famiglia. Dalla serie Ritorno a al-Ma’in. © Forensic Architecture

Looking for Palestine - Forensic Architecture

È la casa, quella dei palestinesi che non c’è più, al centro dell’esposizione nel Sottospazio Lab di Palazzo Bentivoglio del collettivo di ricerca nato all’interno della Goldsmiths University di Londra. «Abbiamo utilizzato mappe delle memoria, testimonianze situate, modellini immersivi e ricostruzioni 3D per dar conto dei massacri di Gaza, dalla Nakba del 1947 a oggi», raccontano i Forensic Architecture. 

 

 

 

 

Alejandro Cartagena, «Fragmented Cities, Escobedo», 2005-10, della serie Suburbia Mexicana, Fragmented Cities. © Alejandro Cartagena

A Small Guide to Homeownership - Alejandro Cartagena

A Palazzo Vizzani, Cartagena, nato a Santo Domingo nel 1977 ma da tempo residente in Messico, descrive i sobborghi di Monterrey: quattro sezioni a tema e una ricerca durata quindici anni. «Ho tradotto un progetto editoriale in mostra, chiosa il fotografo, tra propaganda americana per l’acquisto di un’abitazione e luoghi senza infrastrutture dediti al traffico di droga».

 

 

 

Sanzia Milesi, 26 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

A Foto/Industria Bologna la fotografia è di Casa e guarda a Hoet e Beuys | Sanzia Milesi

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