Helen Frankenthaler nel suo studio di East 83rd Street a New York mentre è al lavoro su «April Mood» e «Under April Mood» nel 1974

Foto: Alexander Liberman. © J. Paul Getty Trust. Getty Research Institute, Los Angeles (2000.R.19). Dipinto © 2024 Helen Frankenthaler Foundation, Inc./Artists Rights Society (Ars), New York

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Helen Frankenthaler nel suo studio di East 83rd Street a New York mentre è al lavoro su «April Mood» e «Under April Mood» nel 1974

Foto: Alexander Liberman. © J. Paul Getty Trust. Getty Research Institute, Los Angeles (2000.R.19). Dipinto © 2024 Helen Frankenthaler Foundation, Inc./Artists Rights Society (Ars), New York

A Palazzo Strozzi i dipinti senza regole di Frankenthaler

Una grande retrospettiva della protagonista della Scuola di New York al tempo di Pollock e Rothko. La racconta il curatore Douglas Dreishpoon

Dal 27 settembre al 26 gennaio 2025 Palazzo Strozzi presenta «Helen Frankenthaler: Dipingere senza regole», grande mostra dedicata a una delle più importanti artiste americane del ’900 che svolse un ruolo centrale nella Scuola di New York. Insieme a un’ampia selezione di opere realizzate tra il 1953 e il 2002 provenienti dalla Helen Frankenthaler Foundation di New York (che ha organizzato la mostra in collaborazione con la Fondazione Palazzo Strozzi) e da importanti musei e collezioni private, la mostra permette di scoprire connessioni, influenze e amicizie dell’artista (1928-2011).

Abbiamo intervistato il curatore Douglas Dreishpoon, direttore dell’Helen Frankenthaler Catalogue Raisonné.

Perché il sottotitolo della mostra è «Dipingere senza regole»? 
Helen Frankenthaler era una pittrice astratta che costantemente cambiò sé stessa usando materiali, strumenti e metodi diversi: ogni strumento (spazzola, spugna, spatola o rastrello) le diede la possibilità di rivisitare l’atto del dipingere. La nozione di dipingere senza regole probabilmente viene dallo scultore David Smith, che ugualmente credeva che non ci dovessero essere regole quando uno reinventava la propria arte. Smith era un amico fidato, uno dei suoi primi mentori. 

Molto vicina prima a Jackson Pollock poi a Mark Rothko, Helen Frankenthaler come ha sviluppato le possibilità dell’arte astratta in modo originale? 
Ha attinto alla tradizione dell’arte astratta e l’ha sviluppata. Poteva essere giocosa e seria, aveva un fantastico senso dell’umorismo. Era intellettualmente astuta, visivamente acuta. Giovane e ambiziosa, ha assorbito tutto come una spugna e l’ha fatto proprio. L’imitazione consente l’assimilazione. Ha capito subito quel che Pollock aveva raggiunto dipingendo sopra e intorno a una tela stesa sul pavimento dello studio: la coreografia, il gesto improvvisato, l’attacco, il tutto o il niente. Quando si sposò con Robert Motherwell, nel 1958, un dipinto multiforme di Rothko era appeso nel soggiorno della loro residenza in pietra arenaria. Visse con quel dipinto e, se si guardano le opere di Helen Frankenthaler da vicino, dall’inizio degli anni ’60, si notano molti rettangoli e quadrati. Rothko umanizzò la geometria. I bordi di un quadrato di Rothko non sono assolutamente dritti. Sfuma i bordi per sgorgare nell’infinito, per creare un accesso verso un altro mondo. Frankenthaler vide che cosa lui stava cercando di fare. Al tempo stesso, la sua interpretazione di quadrati e rettangoli è meno spirituale, più giocosa, interessante per diversi motivi, una metafora del suo matrimonio con Motherwell.  

Lei era una bohémienne ma si definiva «square», quadrata. 
C’è una sfumatura culturale in alcuni dipinti dei primi anni ’60. Condusse una vita bohémienne a Downtown New York negli anni ’50 ma mantenne molte esperienze formative anche quando si trasferì nell’Upper New York. Ogni volta che entrava nello studio canalizzava il suo io bohémien. Essere artista le ha permesso di essere sempre libera. Il «quadrato» è certamente un motivo formale, compositivo, ma funziona anche come segno di unione artistica, di stabilità coniugale.

Attraverso la biografia di Helen Frankenthaler siamo immersi anche nel fervido e affascinante ambiente di New York. Com’è restituito in mostra questo ritratto di un’epoca?  
Trenta opere di Frankenthaler si uniscono a 15 di altri (Pollock, Smith, Rothko, Anthony Caro, Kenneth Noland, Motherwell, Anne Truitt e Morris Louis). La mostra esplora idee intorno all’amicizia, all’affinità e alle influenze reciproche: come amici artisti comunicano e si supportano a vicenda sul piano emotivo, come guardano alle opere degli altri, come elaborano ciò che vedono. La corrispondenza di Frankenthaler con Smith, Truitt e Caro (alcuni estratti sono nel catalogo della mostra) rivela quanto l’amicizia artistica si sviluppi nel tempo. In mostra le parole di Frankenthaler appaiono su grandi didascalie per chiarire opere specifiche. È importante per me che sia presente la voce dell’artista, insieme a quella del curatore che, attraverso pannelli sulle pareti, contestualizzano ciascuna sala. Il percorso è cronologico, procedendo decennio per decennio. I dipinti di Frankenthaler (su tela o carta) e le sculture dialogano con opere di altri. Alcune di queste opere (di Smith, Louis, Noland, Motherwell e Caro) provengono dalla collezione privata di Helen, che era molto eclettica e che, oltre a opere contemporanee, includeva arte dell’800 francese, arte africana, egizia e oggetti precolombiani. La scultura era molto importante per lei, quindi ha senso, in questo caso, includere le opere che possedeva di Smith e Caro.

«Star Gazing (Guardando le stelle)» (1989) di Helen Frankenthaler, New York, Helen Frankenthaler Foundation. © 2024 Helen Frankenthaler Foundation, Inc. / Artists Rights Society (Ars), New York

Lei ha scritto che «le tele leggermente macchiate di Frankenthaler apparirono troppo superficiali: femminili, recessive, passive, non sembravano esserci segni di lotta e di conflitto [...] . Ci è voluto tempo perché la svolta di Frankenthaler fosse pienamente apprezzata». Che cosa, per pregiudizio forse, non era stato capito?    
Quando «Mountains and Sea» fu esposto la prima volta alla Nagy Gallery nel 1953, lasciò perplesse molte persone, inclusi colleghi artisti. Frankenthaler iniziò il dipinto con una raffica di linee a carboncino, prima di applicare pittura a olio diluita con trementina, in modo che i pigmenti penetrassero nelle fibre della tela. Il risultato appariva molto diverso da un tradizionale dipinto a olio, in cui il medium si stende sulla superficie della tela, in alcuni casi sotto forma di un impasto spesso. Gli espressionisti astratti «duri e puri» non erano sicuri di che cosa fare con ciò che vedevano: la superficie di «Mountains and Sea» appariva sottile, discreta, delicata e lirica. Le regole della pittura erano improvvisamente mutate. La tecnica di immersione di Frankenthaler sembrava fluire senza molta resistenza, come se realizzarla non fosse stata una lotta. Ma la lotta era ancora lì, aveva assunto un’espressione diversa. Quando Greenberg vide per la prima volta il dipinto, appena terminato, nello studio di Frankenthaler, lo interpretò come un’estensione di ciò che aveva fatto Pollock. Ma ci è voluto del tempo prima che gli altri ci arrivassero.  

La visione della bellezza che aveva Helen Frankenthaler riflette la profondità della condizione umana. Tuttavia, la sua difesa dei quadri belli, durante un periodo politicamente difficile, rese lei (e la sua opera) vulnerabile. 
È facile guardare il lavoro di Helen Frankenthaler e dire: «Oh, com’è bello». Bellezza è più che cosmesi. Frankenthaler abbracciò la bellezza come un’ampia tavolozza emotiva: la sua opera può essere felice o triste, luminosa o cupa, dura e nervosa, spensierata e serena, tumultuosa e instabile. Nella sua mente un bel dipinto era quello che doveva essere, un qualcosa in cui tutte le parti si univano naturalmente, indipendentemente dal tempo impiegato. Quando le vite umane sono in gioco, come durante la prima crisi dell’Aids, l’arte è facilmente politicizzata. La pratica solitaria di Helen nello studio e la difesa della bellezza durante gli anni ’80 e ’90 sembrarono ad alcuni solipsistiche e fuori dal mondo.  

A Barbara Rose, la pittrice disse di aver guardato anche ai maestri antichi. Quali erano i suoi preferiti e che cosa prese da loro? 
Frankenthaler apprezzò l’arte di tutte le epoche. Visitò le grotte di Altamira, guardò a Manet, Tiziano, Piero della Francesca e Rembrandt attraverso lo sguardo indagatore di un’artista interessata alla tecnica: come vengono realizzati i dipinti, come viene applicata la pittura, come la vernice produce certi effetti. Nei dettagli dei dipinti dei maestri antichi ha osservato mondi tonali di veli diafani, fondi colorati, velature sottili e trasparenze e li ha portati nelle sue astrazioni.

Helen Frankenthaler nel suo studio di East 83rd Street con «Small᾽s Paradise» sul muro e «Fire» sul pavimento (entrambi in progress), New York, 1964. Foto: Alexander Liberman; © J. Paul Getty Trust. Getty Research Institute, Los Angeles (2000.R.19). Dipinti © 2024 Helen Frankenthaler Foundation, Inc. / Artists Rights Society (Ars), New York

Laura Lombardi, 25 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

A Palazzo Strozzi i dipinti senza regole di Frankenthaler | Laura Lombardi

A Palazzo Strozzi i dipinti senza regole di Frankenthaler | Laura Lombardi