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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliL’installazione immersiva «Infinity Mirrored Room: A Wish for Human Happiness Calling from Beyond the Universe» (2020) crea effetti di profondità, riflessi senza fine e strutture luminose che trasformano le inquietanti allucinazioni dell’artista giapponese Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929), in visioni mistiche capaci di avvolgere lo spettatore nella polvere di stelle di un universo senza fine. L’opera, esposta in precedenza solo nel Museo Yayoi Kusama di Tokyo, è una delle grandi attrazioni della retrospettiva che il Museo Guggenheim di Bilbao dedica alla peculiare e ossessiva creatrice, conosciuta in tutto il mondo per le sue zucche, turgide, brillanti e rassicuranti come benevoli spiriti vegetali.
La mostra, aperta fino all’8 ottobre, materializza il complesso immaginario dell’artista avanguardista attraverso più di duecento opere tra dipinti, disegni, sculture, immagini in movimento, installazioni di grandi dimensioni e materiali d’archivio dei suoi happening, che ne ripercorrono l’attività artistica dal 1945 ad oggi. Settant’anni di straordinaria creatività che le curatrici Doryun Chong e Mika Yoshitake, specialiste in arte giapponese contemporanea, in collaborazione con Lucía Agirre, capocuratrice del museo basco, presentano secondo criteri cronologici e tematici, in relazione con le diverse realtà politiche e sociali vissute dall’artista, icona della controcultura fin dagli anni Sessanta. Memorabili i suoi happening, in cui dipingeva corpi nudi per denunciare la guerra e il militarismo nonché (molto prima che diventassero un must dell’agenda sociale) le discriminazioni razziali e di genere.
La rassegna sviscera i grandi temi esistenziali della poetica di Kusama, la forza della vita e l’ineluttabilità della morte, l’infinito, il cosmo e la natura, a partire da una selezione di autoritratti dal 1950 al 2015, che introducono un corpus di opere basate sull’autoaffermazione e sull’autoreferenzialità. Dopo uno spazio dedicato ai pois e alle reti, metafora della dicotomia tra l’infinito e il nulla, le curatrici si concentrano sulle accumulazioni e le ripetizioni, una tendenza che attraversa tutta la pratica artistica di Kusama, a cominciare da «Accumulation of Letters» (1961), formata da ritagli del proprio nome.
L’essere cresciuta in un grande vivaio segna l’approccio dell’artista con la natura e le caratteristiche zucche che appaiono all’inizio degli anni ’80. Influenzata probabilmente dal carattere effimero della vita vegetale e dall’esperienza della guerra e del dopoguerra durante l’adolescenza, Kusama affronta costantemente il tema del confine tra la vita e la morte, che non considera una destinazione finale ma solo una diversa fase della vita. Alla fine degli anni ’80 è già famosa, ma la pressione del mondo dell’arte la spinge a rinchiudersi volontariamente in un ospedale psichiatrico dove da allora vive e dove inizia a concentrarsi sul potere curativo dell’arte.
«Creo arte per la guarigione di tutta l’umanità», afferma nel 1999 e la sua opera del nuovo millennio amplifica questo messaggio. Dieci anni dopo, già ottantenne, inizia «My Eternal Soul» (2009-2021) la più grande serie della sua carriera, formata da quasi mille dipinti, allegri e colorati. Nonostante la devastazione e il dolore della pandemia e dei disastri naturali provocati dai cambiamenti climatici, Kusama continua a celebrare la vita e l’amore, senza nascondere l’oscurità e l’angoscia che l’hanno sempre accompagnata, parti complementari del suo Yin e Yang personale.

Sei «Pumpkins» (1998-2000) di Yayoi Kusama dalla collezione dell’artista