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«Manhattan Bridge», 1925-26, di Edward Hopper. © 2022 Heirs of Josephine N. Hopper/ Licensed by Artists Rights Society (ARS), NY

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«Manhattan Bridge», 1925-26, di Edward Hopper. © 2022 Heirs of Josephine N. Hopper/ Licensed by Artists Rights Society (ARS), NY

Al Whitney Museum Hopper gioca in casa

Per la retrospettiva dedicata al rapporto tra il pittore e New York le curatrici hanno attinto alla collezione del museo, ampliandola con prestiti da collezioni pubbliche e private

Maurita Cardone

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Nella città in cui Edward Hopper visse per quasi sessant’anni, il museo con la più vasta collezione al mondo di sue opere, il Whitney Museum of American Art, ospita fino al 5 marzo una retrospettiva dedicata proprio al rapporto tra il pittore americano e la sua New York.

Le curatrici Kim Conaty e Melinda Lang hanno attinto alla vasta collezione del museo, ampliandola con prestiti da collezioni pubbliche e private, per esporre oltre 200 opere, tra cui icone come «Early Sunday Morning» (1930), «Automat» (1927) e «Room in New York» (1932).

La mostra esplora sei decenni della vita dell’artista attraverso opere che vanno dai primi schizzi ai dipinti degli ultimi anni, cui si aggiungono lettere, fotografie, diari provenienti dal Sanborn-Hopper Archive, un archivio di oltre 4mila oggetti donato al museo nel 2017 dagli eredi di un amico di famiglia. Hopper, che a New York aveva studiato, vi si stabilì al ritorno da un lungo viaggio in Europa, nel 1911, per restarci fino alla morte, nel 1967.

«Manhattan Bridge», 1925-26, di Edward Hopper. © 2022 Heirs of Josephine N. Hopper/ Licensed by Artists Rights Society (ARS), NY

Maurita Cardone, 22 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

Al Whitney Museum Hopper gioca in casa | Maurita Cardone

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