Artemisia Gentileschi, «Giaele e Sisara», 1620, Budapest, Szépművészeti Múzeum

Foto: Szépművészeti Múzeum, Museum of Fine Arts, Budapest, 2025

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Artemisia Gentileschi, «Giaele e Sisara», 1620, Budapest, Szépművészeti Múzeum

Foto: Szépművészeti Múzeum, Museum of Fine Arts, Budapest, 2025

Artemisia, finalmente la pittura supera il mito

Il percorso nel Musée Jacquemart-André, che riunisce opere inedite o raramente esposte, trascura volutamente il periodo napoletano della pittrice, indagato in mostre recenti

«La conoscenza che abbiamo oggi dell’opera di Artemisia Gentileschi, di cui abbiamo potuto ampliare molto il catalogo negli ultimi vent’anni, ci permette di rilevare la coerenza stilistica della sua opera, di focalizzarci sulla sua arte e di trovare un equilibrio tra la sua biografia e la sua arte, rappacificando la lettura femminista a cui è stata spesso ridotta con la realtà», osserva la storica dell’arte Patrizia Cavazzini, ricercatrice alla British School di Roma, e cocuratrice per il Musée Jacquemart-André della mostra «Artemisia. Eroina dell’arte» dal 19 marzo al 3 agosto. «Spero che il visitatore, continua la specialista, uscirà da questa mostra con una visione chiara dei meriti della pittrice, emancipandosi dalla lettura romanzata che spesso viene fatta di lei». Cocuratori, insieme a Patrizia Cavazzini, sono Maria Cristina Terzaghi, docente di Storia dell’arte all’Università di Roma Tre, e il conservatore Pierre Curie. Il presupposto da cui è partita la loro analisi è dunque che se l’opera di Artemisia Gentileschi (Roma, 1593-Napoli, 1656 ca) è difficilmente separabile dalla sua vita, sarebbe riduttivo voler comprendere l’originalità della sua arte solo come mero riflesso della sua esperienza personale, e in particolare dello stupro subìto a 18 anni. 

Artemisia, artista di talento, donna di carattere, fu capace di affermarsi in un’epoca dominata dagli uomini. Entrò in contatto con i maggiori pittori del suo tempo. La sua fu una carriera brillante, di fama europea, che la portò fino alla corte di Carlo I d’Inghilterra. Ma la mostra preferisce soffermarsi sugli anni essenziali della formazione, nella bottega del padre, l’artista caravaggesco Orazio Gentileschi (1563-1639), in cui rivelò rapidamente una maturità artistica sorprendente per la sua età, e sugli anni dell’emancipazione, a Firenze, dove la giovane donna si ricostruì la vita dopo la violenza, e che la portarono alla notorietà. Il dramma era avvenuto nel 1611. A violentarla fu Agostino Tassi, un pittore collaboratore del padre che avrebbe dovuto insegnarle la prospettiva. Il processo che seguì la espose a umiliazioni e anche se Tassi fu condannato, non pagò mai. 

A Firenze Artemisia sposò Pierantonio Stiattesi, divenne la prima donna ammessa all’Accademia del Disegno e dipinse una delle sue opere più celebri, «Giuditta decapita Oloferne» (1620). La mostra sceglie di trascurare il periodo napoletano, a cui sono state dedicate diverse mostre anche di recente, come quella delle Gallerie d’Italia di Napoli del 2022-23. Oltre ad alcuni capolavori come «Susanna e i vecchioni» (1610), primo dipinto noto firmato e datato, prestato dalle Kunstsammlungen Graf von Schönborn di Pommersfelden, sono allestite opere che viaggiano raramente e inedite, di recente attribuzione, appartenenti a collezioni private. Si scoprono per la prima volta «Un ritratto di cavaliere», un «Puttino» e una «Madonnina», «senza dubbio un’opera di gioventù, anteriore alla Susanna, composizione troppo complessa per essere la prima», secondo Patrizia Cavazzini. A Parigi è visibile anche «Ulisse scopre Achille fra le figlie di Licomede» (1641), che non aveva mai lasciato Milano: «Da recenti indagini radiografiche è emerso che il volto della figlia di Licomede riflesso nello specchio è quello di Artemisia». Viaggia per la prima volta, dopo il recente restauro, l’«Allegoria dell’Inclinazione», il pannello dipinto tra il 1615 e il 1616, per il soffitto della Galleria di Casa Buonarroti a Firenze, commissionata da Michelangelo Buonarroti il Giovane, nipote del grande artista. La figura femminile, nuda, fu in seguito coperta con veli da Baldassarre Franceschini nel 1684. Arriva poi dal Metropolitan di New York il monumentale «Ester e Assuero» (1628-35) ed è esposta anche l’«Incoronazione di spine» di Caravaggio (1602-03) della Banca Popolare di Vicenza visibile al Palazzo degli Alberti di Prato. 

È una mostra attesa e necessaria per il pubblico parigino poiché è la prima monografica nella capitale francese dedicata ad Artemisia dalla mostra del Musée Maillol del 2012 (che era stata una versione rivista della rassegna presentata poco prima nel Palazzo Reale di Milano con il titolo «Storia di una passione»). «Un bellissimo lavoro, ma forse in anticipo sui tempi», osserva Patrizia Cavazzini. Da allora l’interesse per Artemisia è cresciuto a livello internazionale, anche in Francia, dove i musei stanno lavorando molto sulla valorizzazione delle artiste.

Artemisia Gentileschi, «Giuditta con la testa di Oloferne», 1618-19 ca. © Ministero della Cultura

Luana De Micco, 13 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Artemisia, finalmente la pittura supera il mito | Luana De Micco

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