La Russia si sta affidando anche all’arte per sostenere i suoi tentativi, in atto da decenni, per acquisire potere e influenza in Africa, da una parte stimolando e sfruttando il sentimento antimperialista, dall’altra intervenendo militarmente attraverso il suo gruppo di mercenari Wagner. Il 27 e 28 luglio, 17 capi di Stato africani (molti meno rispetto ai 43 del 2019) hanno partecipato al secondo «Vertice economico e umanitario Russia-Africa, per la pace, la sicurezza e lo sviluppo», tenutosi a San Pietroburgo. I preparativi per l’evento comprendevano una frenetica attività culturale, a sottolineare l’importanza ad esso attribuita dal governo.
Il giorno prima dell’apertura del vertice Vladimir Putin ha annunciato che verrà creato un Museo della Cultura dei Paesi Africani a Mosca, affidando la supervisione della sua creazione al Museo Statale d’Arte Orientale, l’unica istituzione della capitale russa a possedere manufatti africani. L’urgenza di questo progetto è dimostrata dalla scelta della sede, il Centro statale per l’arte contemporanea, chiuso per ricostruzione dal 2016. Ciò solleva preoccupazioni su come l’arte contemporanea sia percepita dai funzionari russi, vista la chiusura, dopo l’invasione dell’Ucraina, di numerose mostre d’arte contemporanea e la persecuzione di artisti «pericolosi».
Parallelamente, ai musei di San Pietroburgo è stato chiesto di allestire mostre con temi africani. Il Museo di Stato russo ha presentato «L’Africa nell’arte russa», mentre l’Ermitage ha inaugurato «La bellezza come ritmo», con sculture tradizionali africane di donne provenienti da Bamana (Mali), Dan (Costa d'Avorio) e Mosi (Burkina Faso). L’evento principale è stato l’imponente mostra di arte africana contemporanea nella Sala delle Esposizioni Centrale, nota come Maneggio. Denominata «Reversed Safari» (fino al 3 settembre), la mostra comprende più di 300 opere di 47 artisti africani e 14 russi, oltre ad alcune opere d’arte africana tradizionale prestate dal Vassily Polenov Fine Arts Museum. Alessandro Romanini, curatore italiano della mostra, ha dichiarato che essa cambierà «la visione dell’arte africana per eliminare la cosiddetta sindrome del “cacciatore bianco”».
C’è dell’ironia in tutto questo, tuttavia, perché la mostra è sponsorizzata da Alrosa, potente società russa di estrazione di diamanti ora unitasi alla «corsa all’Africa» con esplorazioni in Angola e Botswana. Alrosa è anche collegata al gruppo di mercenari Wagner, autorizzato e guidato da Evgenij Prigozin, che sta portando avanti la politica estera russa per procura militare in diversi Paesi africani. «Reversed Safari» è stata organizzata in collaborazione con la Triumph Gallery, che nel 2006 ha portato a Mosca la mostra «New Religion» di Damien Hirst e tre anni dopo ha portato a Grozny, capitale della Cecenia, una mostra agiografica che glorificava il padre di Ramzan Kadyro, il brutale e aggressivo capo pro-Putin del Governo ceceno.
Le nostre ricerche hanno rivelato che alcuni degli artisti più famosi presenti in «Reversed Safari» non sono stati informati che le loro creazioni sarebbero state incluse nella mostra e le etichette citano come fonte delle loro opere per lo più collezioni private senza nome. Tra questi artisti figurano El Anatsui, scultore ghanese residente in Nigeria, annoverato quest’anno tra le cento persone più influenti del mondo, secondo la rivista americana «Time»; Lara Baladi, acclamata fotografa egiziano-libanese; Wael Shawky, affermato artista egiziano; Nnenna Okore, artista nigeriana nata in Australia che vive e lavora a Chicago, e Kaylo Justus, artista keniota il cui nome non è menzionato nell’elenco dei partecipanti alla mostra, il cui dipinto è però esposto.
Alcuni artisti che hanno acconsentito all’esposizione delle loro opere, come Salim Bayr, nato in Marocco e residente ad Amsterdam, si sono lamentati del fatto che gli organizzatori non avessero detto loro quale fosse il concetto di fondo e che essa sarebbe stata l’evento culturale centrale del vertice Russia-Africa. Molti pezzi degli artisti africani esposti al Maneggio provengono dalla LIS10 Gallery di Arezzo-Parigi e da collezionisti privati italiani. La spedizione sarà probabilmente avvenuta attraverso Paesi come l’Armenia, la Turchia o la Serbia, perché tutte le vie di trasporto dirette sono interrotte dalle sanzioni. La LIS10 Gallery non ha risposto alle richieste di informazioni su questo punto.
Yulia Aksenova, curatrice del centro d’arte contemporanea Garage di Mosca, è stata responsabile della sezione russa della mostra. Un’opera degna di nota è la testa di Aleksandr Puskin, scolpita nel 1937 da Anatoly Grigoriev e dipinta da Natalia Arendt con colori scuri perché il bisnonno di Puskin era africano. Servendo, non senza una certa ironia, da collegamento tra l’Africa e la cultura russa, l’opera si intitola «Pushkin l’abissino». I temi principali di «Reversed Safari» sono l’ecologia e il problema dei rifiuti in Africa, ma «Non parlare della guerra!» è stato il diktat per i curatori. L’unica eccezione è un’opera del mozambicano Gonçalo Mabunda, «The Throne of Passions», fatta di conchiglie e mine, che fa riferimento sia alle interminabili guerre africane sia a «Game of Thrones».
Anche se la maggior parte dei leader africani si è rifiutata di partecipare al vertice, non pochi artisti africani sono stati comunque felici di partecipare all’esposizione, che è diventata il fulcro dello sforzo propagandistico russo, cercando di rappresentare la Russia come leader della decolonizzazione, «incontaminata dai sanguinosi crimini del colonialismo», come ha detto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Opportunamente, però, ha scelto di dimenticare la conquista della Siberia, del Caucaso e dell’Asia centrale da parte della Russia nel XIX secolo.