Il Benin sta vivendo un periodo di rinascita artistica. La rivitalizzazione delle infrastrutture museali, che culminerà in quattro nuovi progetti nei prossimi cinque anni, così come gli investimenti nell'educazione e nella formazione artistica e il rimpatrio di manufatti reali fanno parte di una missione più ampia del presidente Patrice Talon e del suo Governo, volta a posizionare l'arte come «secondo pilastro» dell'economia, dopo l’agricoltura.
In effetti, afferma il curatore Yassine Lassissi, il rimpatrio dalla Francia nel 2022 di 26 manufatti saccheggiati dal Regno di Dahomey ha dato al Governo beninese la spinta per rivitalizzare il patrimonio culturale e l'identità del Paese. Uno slancio che ha portato per la prima volta il Benin alla Biennale di Venezia. La mostra del Padiglione, «Everything Precious is Fragile», è organizzata da Lassissi e dal curatore nigeriano Azu Nwagbogu.
Lo storico artista beninese Romuald Hazoumè, così come i più giovani artisti beninesi Moufouli Bello e Ishola Akpo e l’artista franco-beninese Chloé Quenum affrontano nelle loro opere quattro temi centrali: la donna amazzone o Agojie, la tratta degli schiavi, la filosofia Gelede e la religione Vodun. I quattro temi, spiega Nwagbogu, sono messi in dialogo tra loro attraverso il filo conduttore del femminismo (beninese) e dell'ecofemminismo.
Temi particolarmente pertinenti se si considerano i recenti sviluppi nel Paese. Per esempio, ricorda Hazoumè, la riabilitazione della religione indigena Vodun, che fin dalla colonizzazione è stata in gran parte considerata tab . Hazoumè attribuisce al Governo il merito di aver investito nella promozione e nel recupero del patrimonio beninese. Quest'anno il Benin ha organizzato il primo festival Vodun Days, un programma culturale e spirituale svoltosi il 9 e 10 gennaio a Ouidah.
L'opera di Hazoumè si occupa direttamente di questa religione e del ruolo sacro delle donne nei suoi riti. In effetti, l'Amazzone o Agojie è almeno una donna il cui ruolo nella società viene riesaminato. L'antica classe di donne guerriere del Dahomey è stata oggetto del film hollywoodiano del 2022, «The Woman King», interpretato da Viola Davis. Nello stesso anno, il Governo ha commissionato una scultura di 30 metri di altezza raffigurante una guerriera, ora collocata nell’Esplanade des Amazones di Cotonou, una piazza pubblica nella città più grande del Paese.
Sbocciare davanti all’obiettivo
L'opera di Moufouli Bello, che esplora i desideri e le limitazioni delle donne nella società beninese, è ambientata nel blu batik per cui l’artista è nota. Per il suo lavoro, Bello ha fotografato le donne comuni che lavorano nei pressi del suo studio a Cotonou, tra cui parrucchiere e sarte, oltre a membri della famiglia. Per far sì che durante il servizio fotografico fossero rilassate, Bello ha prima parlato con le partecipanti delle loro speranze e dei loro sogni, permettendo loro di «sbocciare davanti all'obiettivo» e di capire che «non possono essere personaggi secondari della loro stessa vita». Il suo lavoro è anche influenzato dalla pratica Gelede che Bello ha osservato durante la sua infanzia: una cerimonia di danza tradizionale e spirituale yoruba-beninese incentrata sulla maternità.
Anche la nonna di Ishola Akpo, che era un sacerdotessa vodun, è molto presente nel suo lavoro. Akpo si definisce un artista multimediale che usa la fotografia per «interrogare la memoria». Nwagbogu descrive il lavoro di Akpo come uno «scavo archeologico della storia». Uno dei progetti recenti dell’artista è Agbara Women (agbara è la parola yoruba che indica il potere). In questo progetto, l'artista prende immagini d'archivio di re africani, «taglia loro le teste» e le reimmagina come le donne reali eliminate dalla storia. I lavori di questa serie sono esposti presso lo spazio Atlantic Art di Ouidah, insieme a ceramiche che esplorano il concetto di «dote» attraverso la storia personale di sua nonna. Il lavoro di Akpo alla Biennale, annuncia al’artista, mette in discussione il posto e il potere delle donne nella società.
Chloé Quenum, infine, riflette sulla «fragilità della diaspora», essendo l'unica artista del padiglione cresciuta fuori dal Benin. Quenum ha iniziato visitando il Musée du quai Branly-Jacques Chirac di Parigi per vedere gli strumenti musicali storici beninesi della sua collezione. La sua mostra riproduce gli oggetti in vetro, con spazio per l’interpretazione e l'estro. Ripercorrendo il modo in cui gli oggetti sono stati portati al Quai Branly, la loro storia e le loro condizioni attuali, Quenum mira a raccontare la delicata storia dell'eredità, dell'identità e della conoscenza beninese, con un’attenzione alla tratta transatlantica degli schiavi. L'artista osserva che la sede dell'Arsenale, con la sua storia di cantiere navale e i suoi legami con la schiavitù e le rotte commerciali veneziane, conferisce all'opera un ulteriore significato.
Conversazione a quattro
Nwagbogu sottolinea che era essenziale che il Padiglione desse la sensazione di «un'unica grande mostra», anziché di quattro rappresentazioni separate. Gli artisti spiegano che le loro opere sono «in conversazione» tra loro. I lavori sono anche incentrati sull'umore e sugli sviluppi del Paese. Per il team curatoriale è importante che il padiglione si occupi del presente del Benin, pur prendendo spunto dalla ricca storia del Paese (vi sono esposti anche oggetti storici precoloniali). «Il Benin è l'unico Paese [in Africa] che sta facendo un importante lavoro di creazione di una nuova estetica tra gli oggetti del passato e del presente», osserva Nwagbogu.
Per quanto riguarda il futuro, gli artisti comprendono la duttilità e l'incertezza degli atteggiamenti verso l'arte contemporanea beninese, dentro e fuori il Paese: «Sono curiosa come tutti di vedere quale accoglienza avrà il mio lavoro e che cosa succederà dopo la [Biennale]», dice Bello.
Alla domanda se lo slancio culturale continuerà anche dopo un cambio di amministrazione, Hazoumè risponde: «Speriamo di vivere abbastanza a lungo per vedere».
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