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Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliA diciotto anni il giovane Umberto Boccioni era uno spirito libero, inquieto, critico ma attento alla produzione artistica di maestri storicizzati e di coetanei, un instancabile sperimentatore di linguaggi, tecniche e contesti espressivi differenti.
Nato a Reggio Calabria nel 1882 da genitori di origine romagnola, e fin da bambino abituato a spostarsi al seguito della famiglia, nel periodo più ruggente della Belle Époque fu per lui naturale e fondamentale muoversi, alternando memorabili viaggi all’estero (Parigi, la Russia, Monaco di Baviera) ai soggiorni nei grandi centri urbani italiani, dove la tradizione tardo ottocentesca iniziava a sobbollire, sospinta da un’aria di rinnovamento europeo.
In tre di queste città lo segue attentamente la mostra «Boccioni 1900-1910. Roma Venezia Milano», un progetto espositivo di ampio respiro che, attraverso oltre cento opere e un’attenta rilettura di documenti e diari, espande e puntualizza l’esegesi storico critica su questa fase della vita e della poetica dell’artista, con l’intento di metterne a fuoco le peculiarità sui diversi scenari frequentati durante il cruciale decennio della sua formazione, tra la nascita del nuovo secolo e la definitiva adesione al Futurismo.
Allestita nella Fondazione Magnani-Rocca, la mostra è curata da Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi e Stefano Roffi, che sottolineano: «Questa ampia ricognizione torna sul tema degli esordi boccioniani, rileggendo frequentazioni ed esperienze per proporre una visione più allargata e attenta agli sfondi, che tiene conto dei nuovi esiti delle ricerche», dopo gli ormai storici studi di Maurizio Calvesi ed Ester Coen degli anni ’80, e la mostra dedicata al giovane Boccioni da Bottegantica a Milano nel 2021, che si concentrava in particolare sui disegni.
«Estesa ai contesti, questa mostra guida il pubblico alla scoperta delle irrequietezze, delle abilità, degli incontri e del pensiero critico di un artista che sa muoversi su un orizzonte molto aperto in senso geografico, tecnico e tematico, per trovare la propria cifra stilistica e poetica», precisano i curatori.
Attento alle istanze più innovative del suo tempo e già attivo come pittore, incisore e illustratore, Boccioni è posto in relazione con le opere dei «petits-maîtres» divisionisti che influenzarono il suo percorso, e con quelle dei coetanei, con i quali condivise esposizioni e discussioni.
Così diventa evidente la specificità del suo temperamento che, a partire dal gioco di filamenti cromatici, guardava ben oltre la verifica scientifica del rapporto colore-luce, per seguire diverse suggestioni, tra Espressionismo cromatico e Simbolismo «ideista» alla Segantini.
Nelle tre sezioni della mostra si scopre l’evolversi e l’intrecciarsi delle ascendenze: a Roma, esperienza aurorale e determinante per la frequentazione di Balla, ma anche per l’ammirazione dei grafismi lineari di Beardsley, dove, in opposizione alle tendenze ufficiali, l’intraprendente Boccioni organizza la sua «Mostra dei rifiutati»; a Venezia, raggiungibile da Padova dove vivevano sua madre e sua sorella, l’artista ha occasione di praticare l’incisione con la guida di Alessandro Zezzos (in mostra anche lastre inedite di quegli anni) e di visitare la fondamentale Biennale del 1907, scoprendo la fascinazione notturna in artisti come Mario de Maria; a Milano, dove all’incontro con il Divisionismo onirico e visionario di Previati seguirà l’approdo all’avanguardia, condivisa con i giovani che con lui esponevano alla Famiglia Artistica, come Bonzagni, Carrà, Russolo, Romolo Romani e Dudreville.
Tra le opere, diverse belle sorprese degli artisti di «sfondo» come la «Mariuccia» di Giovanni Sottocornola e alcuni tra i capolavori pittorici più noti, ritratti e paesaggi prestati da istituzioni e inediti di collezioni private, come «Il romanzo di una cucitrice» (1908) e un grande «Ritratto di gentiluomo» (1909), opere grafiche e tempere. Utile strumento di aggiornamento sugli studi il catalogo con testi dei curatori edito da Dario Cimorelli Editore.

Particolare di «Campagna romana» (o «Meriggio») di Umberto Boccioni (1903)