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Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliL’interesse della cultura francese per il mondo etrusco è vivo da tempo: si può pensare alla passione dello scrittore Stendhal, che lo sentiva vicino. Nel libro Rome, Naples et Florence (1826) arrivò a confessare: «Mi sento indignato contro i Romani, che vennero a turbare, senz’altro titolo che il coraggio feroce, quelle repubbliche d’Etruria che erano loro tanto superiori per le belle arti, per le ricchezze e per l’arte di essere felici». Poche righe più avanti è ancora più duro: «È come se venti reggimenti di cosacchi venissero a saccheggiare il boulevard e a distruggere Parigi: sarebbe una disgrazia anche per gli uomini che nasceranno tra dieci secoli». Le città stato dell’Etruria sono le protagoniste della mostra «Gli Etruschi. Una civiltà del Mediterraneo» allestita dal 15 aprile al 23 ottobre nel Musée de la Romanité a Nîmes con la consulenza scientifica di Carlotta Cianferoni, Fabrizio Burchianti e Federica Sacchetti.
Lungo il percorso espositivo, articolato in cinque sezioni tematiche, viene presentata la realtà storica di questo popolo che risulta insediato in diverse aree della penisola italiana: nei territori compresi tra Arno e Tevere, in buona parte della pianura padana (compresi territori situati al di là del fiume Po, come Mantova) e in Campania nelle zone di Capua e del Salernitano. In grado, inoltre, di dialogare e influenzare altri popoli della prima Italia, come i Falisci, gli Umbri, i Sanniti, i Veneti, i Celti per citarne alcuni, ed esercitare un ruolo di primo piano nel Mediterraneo occidentale per alcuni secoli. Proprio la vocazione mediterranea degli Etruschi viene approfondita nella sezione iniziale della mostra presentando reperti ritrovati nella Francia meridionale e in alcuni relitti rinvenuti lungo le coste francesi.
Interessi espansionistici che portarono a una grande battaglia navale, nota come di Alalia o del Mar Sardo, combattuta intorno al 540 a.C. Uno scontro navale ricordato da Erodoto (I, 165-167), che ne comprese a pieno l’importanza. Nella sezione successiva protagonista diviene la società etrusca e i suoi modi di organizzarsi con la formazione delle libere «repubbliche», ricordate da Stendhal; con la nascita di un’aristocrazia in grado di tenere le redini del potere in maniera quasi ininterrotta per l’arco cronologico di durata della civiltà etrusca, che copre il I millennio a.C. quasi per intero nonostante la perdita dell’indipendenza politica a favore di Roma, nei suoi secoli finali; con lo sviluppo di un’agricoltura e di un artigianato fiorenti.
La terza e la quarta sezione sono dedicate alla religiosità e al culto dei morti. In proposito si può rammentare che, nell’antichità, gli Etruschi erano ritenuti un popolo particolarmente religioso e attento a interpretare i segni del divino. Ciò li portò a elaborare un complesso di norme, la Etrusca Disciplina, che regolavano il rapporto tra gli uomini e gli dèi, e a sviluppare pratiche idonee a tentare d’interpretare la volontà divina. I detentori di queste conoscenze erano gli auguri e gli aruspici: uno di essi, Aule Lecu, figlio di Laris, è raffigurato sul coperchio di un’urna proveniente da Volterra. Tiene in mano il fegato di un animale: il suo strumento di lavoro. Numerosi reperti esposti provengono dai corredi funerari e questo dato da solo suggerisce l’attenzione per i defunti. L’ultima sezione è incentrata sull’esame dell’eredità che gli Etruschi lasciarono ai Romani: dall’architettura all’idraulica, dall’agricoltura all’artigianato artistico.

Aule Lecu, figlio di Laris, raffigurato sul coperchio di un’urna proveniente da Volterra