Figlie di un avanzamento tecnologico sempre più veloce e irreversibile, le Intelligenze Artificiali stanno rivoluzionando così tanto le nostre abitudini quotidiane da rischiare di modificare anche il modo stesso col quale ci approcciamo alla vita. Premesso che le AI non sono ancora da intendere come creature autonome, bensì come qualcosa che viene pur sempre concepito e programmato da esseri umani, l’impatto che esse stanno avendo sull’immaginario collettivo è dato in particolar modo dalla loro capacità di farci concepire, nonché visualizzare, l’inconcepibile.
Ma se noi osserviamo le AI con stupore, fiducia, e un pizzico di inquietudine, qual è il modo in cui esse guardano noi? A dare una risposta a questa domanda è «When they see us», una mostra curata dall’organizzazione culturale Sineglossa che pone l’attenzione su alcune questioni non proprio rassicuranti. Visitabile dal 17 al 28 settembre presso la Biblioteca Salaborsa di Bologna, l’esposizione mette in dialogo alcune opere dell’artista belga Dries Depoorter (1991) con gli interventi partecipativi della Ong berlinese Tactical Tech per invitare a riflettere tanto sul concetto di sorveglianza di massa quanto sui rischi che un certo utilizzo di tale tecnologia può comportare.
Filo conduttore del percorso espositivo è infatti l’impatto del tracciamento fisico e digitale delle nostre vite, una questione estremamente attuale che sfocia nel tema più ampio della preservazione dei diritti digitali. Nell’ottica di approfondire il più possibile l’argomento, la rassegna offrirà anche il punto di vista del filosofo e saggista Franco «Bifo» Berardi attraverso un talk che, dalle 18 di martedì 17 settembre, lo vedrà in compagnia dello stesso Depoorter e del direttore artistico di Sineglossa, Federico Bomba.
Fra installazioni immersive e video carichi di un certo senso di empatia, sarà così possibile allargare la propria visuale nei confronti dell’uso di specifiche AI: un processo reso possibile proprio grazie alla lente dell’arte contemporanea che, il più delle volte, non restituisce altro che il riflesso del tempo nel quale viviamo.
«Con questa mostra desideriamo portare il dibattito sui rischi insiti nell’uso delle tecnologie di sorveglianza al di fuori delle cerchie di esperti o attivisti dove solitamente avviene, afferma la responsabile comunicazione di The Good Lobby, Martina Turola. Attraverso la campagna Reclaim Your Face, lanciata anni fa per proteggere la nostra libertà di movimento e protesta e la nostra privacy dall’intrusività dei sistemi di riconoscimento biometrico, ci siamo resi conto infatti di quanto sia fondamentale fare in modo che le persone conoscano le implicazioni connesse all’utilizzo di queste tecnologie. Pensiamo che l’arte possa contribuire in maniera sostanziale a provocare una conversazione nella società, soprattutto quando è capace di coinvolgere interattivamente il proprio pubblico, come nel caso delle opere di Depoorter, che ci inducono a metterci nei panni di potenziali sorveglianti o sorvegliati e ad agire di conseguenza».