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Fausto Melotti, «La foresta II», 1971, collezione privata

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Fausto Melotti, «La foresta II», 1971, collezione privata

Con Fausto Melotti il divertimento è assicurato

53 anni dopo la storica mostra alla Gam di Torino, lo stesso museo dedica all’artista originario di Rovereto una retrospettiva con oltre 150 opere

«Un giorno Melotti ha affermato: “Non la modellazione ha importanza ma la modulazione”, con ciò decretando, senz’accorgersene, la morte della scultura. La quale è sempre stata e sempre sarà, finché artisti e critici la lasceranno vivere, modellazione di forme e non profilo d’immagini campite sopra superfici immaginarie. Di conseguenza, a parer nostro, Melotti più che uno “scultore” va considerato un ingegnoso teorico doppiato con uno squisito poeta»

Così Marziano Bernardi, critico de «La Stampa», chiudeva il 26 marzo 1972, con un accenno alle fascinazioni musicali di Fausto Melotti, la recensione alla mostra dell’artista roveretano aperta in quell’anno alla Galleria Civica d’arte moderna di Torino. Oggi che nessuno si sognerebbe di sottrarre all’artista (Rovereto, 1901-Milano, 1986) la patente di scultore, nella Torino presso il cui Politecnico studiò ingegneria, nella città dove ottenne le mostre e l’attenzione di gallerie come La Galatea e Martano e di uno studioso e critico come Paolo Fossati (in L’immagine sospesa, titolo quanto mai melottiano di un libro edito nel ’71 da Einaudi), la stessa Gam ne riaccoglie 150 opere. Chiara Bertola, direttrice della Gam e curatrice di questa retrospettiva con Fabio Cafagna, si è avvalsa della collaborazione della Fondazione milanese intitolata all’artista e delle gallerie Christian Stein e Hauser & Wirth. «La Gam ha iniziato ad acquisire sue opere a partire dal 1966, con “Scultura n. 15” del 1935 sino al 2005, costituendo, grazie ai contributi della Fondazione De Fornaris e Fondazione Crt per l’arte, un nucleo importante cui questa mostra vuole rendere omaggio, spiega Cafagna. E poi si tratta di un artista che ha la necessità di essere riscoperto, perché nell’ultimo periodo è stato un po’ messo da parte sia dal mercato sia dalla critica. Eppure Melotti ha molto da dire ai suoi colleghi di oggi, in virtù, come ci faceva notare Elena Volpato, conservatrice della Gam, da un cui input nasce questa retrospettiva, del suo rigore unito all’inquietudine, a quell’“incertezza” cui dedicò un suo articolo pubblicato in “Domus” nel  1963». Così scriveva in quell’occasione Melotti: «La mente dell’artista, come prima mai era avvenuto, si trova sperduta davanti alle scelte d’infinite vie (...) inconsciamente preda di una ricca e totale incertezza». E sottolineava che «gli incerti disturbano anche le classificazioni dei critici». 

Fausto Melotti, «Scultura n. 15», 1935, Torino, Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Fausto Melotti, «La ballata del cervo», 1979, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea Crt in comodato alla Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino

Insomma, è, tra le righe, anche un’esortazione a quel «Lasciatemi divertire!» (copyright Aldo Palazzeschi, 1910) che dà il titolo all’attuale rassegna, aperta dal 16 aprile al 7 settembre (catalogo Allemandi). «Anche rispetto a Fontana, che come lui studiò a Brera alla scuola di Wildt, Melotti, spiega Cafagna, sembra più incerto, quasi più indolente sotto tanti punti di vista e più sotterraneo. E questo io lo trovo molto interessante in realtà, perché c’è una coerenza fortissima nel suo lavoro, nonostante la critica abbia avuto grande difficoltà a leggerla. Per molti critici era come se ci fossero due facce della medaglia, l’artista degli anni Trenta e quello degli anni Sessanta-Settanta, quest’ultimo esterno rispetto alle tendenze di quel momento, cioè all’Arte concettuale e processuale. Ma i Melotti potrebbero essere molti più di due. C’è quello della ceramica che arriverà più tardi, c’era già quello dei teatrini, che nel 1972 erano considerati come una produzione “laterale” in quanto molto più intima. È apparentemente un artista composito, molto sfaccettato, però poi quando si entra all’interno della produzione emerge una sua unitarietà. Senza la ceramica, che in mostra ha un suo spazio, non si riuscirebbe a capire né l’evoluzione del teatrino, né la sua prima produzione, quindi la sua formazione, e neppure la produzione più tarda, quella degli anni Settanta e Ottanta, connotata da maggiori libertà ed espressività». 

Tra i prestiti di maggior rilievo arriva dal Castello di Rivoli un nucleo di quattro opere non sempre visibili e datate dal 1968 al 1979 e dal Museo del Novecento di Milano la «Scultura n. 17» in acciaio inox. Dalle Gallerie d’Italia, sempre di Milano, provengono «Coppia» (1970 ca) e «Un folle amore» (1971); dal Mart di Rovereto, che possiede una vasta collezione melottiana, vengono «Scultura G (Nove cerchi)» del 1967 e «Festa alla Torre di Babele» del 1971, di tipologia e titolo simili a un’opera presente nella mostra del ’72, «ma che non è stato possibile rintracciare, prosegue il curatore. Grazie ad Hauser & Wirth siamo riusciti ad avere da Los Angeles due opere importanti, “Il Canal Grande”, una terracotta dipinta, molto diversa dalle solite che Melotti produce all’inizio degli anni Sessanta, e “Il gregge è fuggito”, una delle sculture della metà degli anni Ottanta impostata come un teatrino: per noi era molto importante documentare l’opera dell’artista dagli anni Trenta sino alla fase finale». Arrivano invece dalla Fondazione Fausto Melotti e dalla Galleria Christian Stein una serie di dipinti realizzati a Zoagli, in Liguria, nei primi anni Cinquanta. «C’è anche un teatrino, aggiunge Cafagna, che a quanto ci risulta non è mai stato esposto prima e che fa parte della Fondazione Toti Scialoia di Roma: abbiamo operato alcune scelte anche su consiglio della Fondazione Melotti per consentire la visione di opere un po’ meno note». Dalla figlia dell’artista (e presidente della Fondazione), Marta Melotti, proviene infine un importante nucleo di ceramiche bassorilievi.

Fausto Melotti, «Il carro dei rabdomanti», 1959 ca, collezione Marta Melotti

Fausto Melotti, «Notte africana», 1973, collezione privata

Franco Fanelli, 09 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Con Fausto Melotti il divertimento è assicurato | Franco Fanelli

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