La prima tappa, molto fortunata, dell’indagine condotta da Cortesi Gallery intorno alle avanguardie europee della seconda metà del ‘900 si è tenuta dallo scorso settembre nella sede luganese della galleria. Titolo: «Spazio Totale. L’arte nella sua forma più pura. Da Lucio Fontana a Günther Uecker»; oggetto, il rigore assoluto del monocromo bianco. Ora l’esplorazione di quegli anni così vibranti di energie e di (vere) novità prosegue con un nuovo capitolo dedicato, spiegano in galleria, all’arte «come forma di consapevolezza e come indagine profonda di concetti». «Spazio Totale: Parte II. L’arte nella sua forma più pura. Da Piero Manzoni a Heinz Mack» è il titolo della seconda tappa, aperta dal 29 novembre al 31 gennaio prossimo in via Morigi 8 a Milano, dove figurano lavori gravitanti intorno all’esperienza miliare della rivista «Azimuth» (fondata proprio a Milano, nel 1959, da Piero Manzoni ed Enrico Castellani) e della loro quasi omonima galleria Azimut, crocevia delle esperienze più radicali dell’arte, non solo italiana, del tempo. Così, con alcuni importanti lavori dei due fondatori, sfilano in mostra Vincenzo Agnetti, presente con due opere degli anni ’70, e l’artista tedesco Heinz Mack, oggi novantatreenne, lui fondatore nel 1957 (con Otto Piene) del gruppo Zero.
Di quella libera associazione di artisti faceva parte, tra gli altri, Günther Uecker (94 anni), anch’egli in mostra con i suoi lavori geniali, realizzati con lunghi chiodi diversamente orientati che danno vita a stupefacenti effetti cinetici. C’è poi Gianni Colombo, che nel 1959 (anno in cui, con Davide Boriani e Gabriele De Vecchi fonda il Gruppo T, presto raggiunti da Grazia Varisco) espone nella galleria Azimut: con le sue opere di polistirolo sono in mostra quelle di artisti come Arnaldo Pomodoro e Pietro Consagra, anch’essi pronti, in quegli anni, a sperimentare materiali inediti ed eterodossi, come il fiberglass (il primo) e il ferro dipinto. Sebbene ci si muova nella stessa area linguistica della prima parte della mostra, la declinazione del tema qui prende dunque vie diverse, mettendo l’accento sulla comune volontà di quella generazione di artisti, che reagiva ai magmi dell’informale, di affidarsi a strutture ortogonali, al movimento (reale o suggerito) per entrare in vitale connessione con lo spazio, e alla luce, elemento principe del loro linguaggio. Alla base di tutto, il convincimento che l’arte non dovesse essere rappresentazione del reale bensì processo e manifestazione dei concetti sottesi all’opera.