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È una storia più che mai attuale, sebbene si svolga oltre 500 anni fa, quella narrata dalla mostra «Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia», aperta nel Palazzo Reale a Milano dal 21 febbraio al 24 giugno.
Curata da Bernard Aikema (ordinario di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Verona, cui in Italia si deve, tra le altre, la rassegna di Palazzo Grassi «Il Rinascimento a Venezia», 1999) con Andrew J. Martin, la mostra milanese, prodotta da Palazzo Reale e 24 Ore Cultura, è significativa tanto per l’impianto scientifico quanto per l’importanza di ciò che espone. Conta circa 130 opere, in massima parte di Albrecht Dürer (una dozzina i dipinti del suo non vasto catalogo pittorico, e molti i disegni e le incisioni, dall’Albertina di Vienna, dal British Museum di Londra e dalla Gemäldegalerie di Berlino) ma anche di altri maestri tedeschi e italiani del tempo. Tra gli altri, Lucas Cranach, Albrecht Altdorfer o il grande e poco noto Hans Baldung Grien da un lato, e dall’altro Leonardo (ci sono il «San Gerolamo» vaticano e disegni dalla Royal Collection di Windsor), Giorgione, Giovanni Bellini e Lorenzo Lotto, accostati in un percorso che si propone di riscrivere con uno sguardo più ampio le vicende dell’arte di quegli anni, intorno al 1500, quando la cultura europea si trasformò radicalmente.
«Si era scoperto il Nuovo Mondo, ci fu la Riforma protestante e s’iniziava a guardare al mondo con occhi nuovi, con una prospettiva più dinamica. La mostra, spiega Aikema, si propone di leggere il Rinascimento con uno sguardo inedito, non come un fenomeno nato a Firenze e in Toscana, e di lì irradiato nel resto d’Europa, ma come una realtà che scaturisce da una nuova “geografia dell’arte”, fatta di rapporti e di scambi, culturali e commerciali, fitti e continui fra il Sud della Germania e la Pianura Padana, che erano allora le due regioni più avanzate d’Europa sul piano culturale ed economico».
Non una monografica, quindi, bensì una rassegna fondata sì su Dürer (Norimberga, 1471-1528), ma «pensata, aggiunge Aikema, come una mostra “con le finestre aperte”. Non vorrei però parlare d’influenze, bensì di suggerimenti: l’“influenza” infatti comporta un atteggiamento passivo, mentre in questo caso si assiste a un’attiva curiosità per il nuovo».
Il triangolo così coerente compreso tra Milano, Venezia e Bologna («città dove Dürer quasi certamente andò, mentre sono dell’idea che il suo famoso “primo viaggio in Italia”, dell’ultimo Quattrocento, sia un’invenzione della storiografia ottocentesca, non trovandosi un solo documento al riguardo», puntualizza Aikema) non aveva alcuna difficoltà a dialogare con il Sud della Germania: «Non dimentichiamo che dal Fondaco dei Tedeschi, a Venezia, ogni settimana partiva un carico di beni di lusso alla volta di Norimberga, Augusta e Ratisbona». E con quei carichi viaggiavano anche le idee e le novità culturali.
In mostra ci sono dipinti famosissimi di Dürer (dal «Cristo dodicenne fra i dottori» del Museo Thyssen al «San Gerolamo» della National Gallery di Londra, al «Ritratto di giovane veneziana» del Kunsthistorisches Museum di Vienna) e altri meno noti, come il piccolo «Ritratto di fanciulla con berretto rosso» dalla Gemäldegalerie di Berlino. E con essi, oltre al citato «San Gerolamo» di Leonardo, ci sono «La Vecchia», dipinto assai «nordico» di Giorgione, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, posto accanto a un disegno di Hans Baldung Grien da Washington, e la «Pala Barbarigo» di Bellini, da Murano, con la copia antica (l’originale è irriconoscibile per i restauri) della «Pala del Rosario» di Dürer dal Rudolfinum di Praga, mentre un paesaggio di Altdorfer è posto (idealmente) a confronto con la misteriosa «Tempesta» di Giorgione.
Perché c’è un altro tratto che prova l’affinità tra l’arte tedesca e dell’Italia settentrionale nel giro d’anni (1495-1528) in cui Dürer lavorò, ed è la passione per i dipinti dal tema enigmatico: «Pensiamo, continua il curatore, per l’Italia a Giorgione appunto, o al giovane Tiziano, e per la Germania proprio a Dürer e a certi suoi fogli unici come “Melancholia I”. In questo caso, inoltre, ci troviamo di fronte alla novità di un’opera grafica, con la sua nuovissima possibilità di circolare largamente. Anche perché Dürer fu pure un eccellente “merchandiser” delle sue stampe».
La mostra offre un’immagine completa della figura di questo grande artista che fu, anche, uno dei primi teorici dell’arte «oltre a essere, conclude Bernard Aikema, il primo disegnatore moderno: Leonardo fu un grande innovatore ma Dürer ideò una varietà prodigiosa di tecniche, oltre a una pluralità di tipologie e iconologie non eguagliata nemmeno da Leonardo».

«Gesù fra i dottori» (1506) di Albrecht Dürer, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. © 2018. Museo Thyssen-Bornemisza/Scala, Firenze