«Ricordo di Silvia» (1969) di Giosetta Fioroni (particolare)

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«Ricordo di Silvia» (1969) di Giosetta Fioroni (particolare)

Da M77 Fioroni si specchia nei suoi personaggi

Nella galleria milanese una cinquantina di opere tra dipinti con soggetti femminili, autoritratti, scatti e una scultura dell’artista romana

Sono circa cinquanta le opere di Giosetta Fioroni (Roma, 1932) presentate fino al 21 dicembre da M77 nell’importante mostra «Speculum. Guardare, guardarsi, esser guardata», realizzata con la Fondazione Goffredo Parise e Giosetta Fioroni e con l’artista stessa, che nel titolo rende omaggio al saggio del 1974 in cui Luce Irigaray invitava le donne a rappresentare il proprio universo non secondo gli stereotipi vigenti, dettati dagli uomini, ma in un’ottica nuova, al femminile.

Scelti da Cristiana Perrella, che l’ha curata, i lavori di questa protagonista dell’arte del dopoguerra, ci introducono, al piano terreno della galleria in un’ora albeggiante, dominati come sono dalla luce chiara degli smalti e dell’argento di cui Fioroni si è servita sin dai primi anni ’60: la mostra ne espone un esempio germinale con il grande «Laguna», 1960, un lavoro realizzato con vernici industriali argento e oro il cui spazio, indefinito, diventa agli occhi dell’artista «il luogo deputato delle emozioni, dei sentimenti»: uno schermo, dunque, su cui proiettare i propri vissuti. Non l’inclusione dell’osservatore entro lo spazio dell’opera, come accade con i quadri specchianti di Pistoletto ma, piuttosto, una fusione auratica dell’osservatore nella lucentezza pallida e indistinta di quei suoi bagliori metallici volutamente soffocati

Un mondo lunare, quello in cui ci portano le opere scelte per questo grande spazio, tutte abitate da figure femminili sfuggenti, i cui tratti, decostruiti e rimodellati dall’artista, s’indovinano, più che vedersi. Ed è qui che ci s’imbatte anche nei bozzetti di «Il Silenzio», 1964, il quadrittico che presentò alla Biennale di Venezia di quell’anno. Sono figure, le sue, che chiedono e richiedono attenzione a chi li osserva. Siamo infatti nel primo dei tre «movimenti» che, come suggerisce il titolo, compongono la mostra: quello del guardare, che Fioroni mette in atto anche in tre video della seconda metà degli anni ’60 presentati in altrettanti monitor al centro della sala, in uno dei quali, del 1967, figura l’amico Pino Pascali nell’anno precedente la sua scomparsa.

Salite le scale, ecco il secondo tempo: il «guardarsi». Qui vanno in scena gli autoritratti da lei realizzati lungo gli anni, alcuni con il volto dilatato, in primo piano, i tratti sfocati e fantasmatici, altri, più lieti, con i cani che condivideva con Goffredo Parise (a Petote la coppia dedicò anche un libro). C’è l’autoritratto del 1971-72 in cui si ritrae «a sette anni», con le trecce, e ci sono i due, di grande formato, realizzati con Marco Delogu nel 2001 e nel 2012, in cui mostra il lavoro impietoso del tempo sul nostro corpo. E c’è, qui, la scultura di resina bianca del 2002, «Giosetta con Giosetta a nove anni» (era il 1941, piena guerra) dove lei bambina, trecce, basco, calze corte e cappottino, è tenuta per mano da una salda Giosetta settantenne.

I (rari) ritratti maschili? Dietro la parete, come in castigo. Sebbene lei, che pure non è mai sottostata alle rigide norme sociali del tempo, ripeta di aver «lavorato molto non sul femminismo ma sulla femminilità». Accanto, sia sulla parete che in una teca, ecco l’«essere guardata», nelle decine di fotografie scattate a lei dagli amici. Che erano Ugo Mulas ed Elisabetta Catalano, Mario Dondero e Gabriella Drudi, Tano Festa, Toni Thorimbert e molti altri come loro: il mondo di una Roma che era, allora, un crocevia di arte, di artisti e di vita «dolce» davvero. O almeno così appare ora, sfocata dal ricordo.

«L'Altra Ego #1» (2012) di Giosetta Fioroni e Marco Delogu. Cortesia della Fondazione Goffredo Parise e Giosetta Fioroni

Ada Masoero, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Da M77 Fioroni si specchia nei suoi personaggi | Ada Masoero

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