Da sperimentatore inarrestabile qual è, Maurizio Donzelli (nato nel 1958 a Brescia, dove vive e lavora) procede nella sua ricerca intorno alla percezione e ai suoi sortilegi e, da qualche tempo, si concentra sul ciclo dei «Nets», lavori in cui declina con un linguaggio nuovo le domande che lui (che ha insegnato Teoria della percezione e psicologia del colore all’Accademia NABA e SantaGiulia di Brescia) da sempre si pone intorno all’illusorietà della visione e quindi alla possibilità/impossibilità di condividerla. Spesso di formato imponente, i «Nets», che danno il titolo alla personale di Donzelli presentata dal 16 settembre al 15 novembre da Cortesi Gallery a Milano, con la curatela di Alberto Fiz, intessono i loro reticoli disorientanti su superfici diverse (carta, legno, tessuto, tela) e impongono all’osservatore un intenso sforzo percettivo, diramandosi secondo traiettorie imprevedibili che si addensano e si dilatano, sprofondano ed emergono dal fondo: percorsi che ognuno vorrebbe, per rassicurarsi, «irregimentare». Ma senza successo.
Insieme, sono esposte opere dei cicli ben conosciuti dei «Mirror» e degli ori (gli «O»), tutti lavori di forte fascinazione visiva che tuttavia, come spiega l’artista riferendosi ai primi, «nascondono al proprio interno una struttura concettuale molto radicale, e in un certo modo mostrano il nucleo centrale di tutto il mio lavoro: un principio d’impossibilità della condivisione dell’immagine e del suo contenuto, a favore di un fattore esclusivo e personale di ciò che si vede e si interpreta». Sono infatti opere che richiedono uno sguardo «attivo», e mobile, da parte dell’osservatore perché se è vero che quando sono osservate da un’angolazione stretta appaiono come superfici specchianti, man mano che ci si sposta rivelano immagini fluttuanti che si trasformano a seconda del punto di osservazione.
Sebbene i «Mirror» siano usualmente opere a parete, per questa mostra Donzelli ne ha realizzato uno tridimensionale, in forma di ingannevole scultura, oltre a un’installazione site-specific: una sorta di «Mirror ambientale» in cui il mondo perde le sue coordinate spaziali, annegato in forme di un blu oltremarino. Non meno seducenti, visivamente e concettualmente, sono gli «O», opere enigmatiche e «interroganti» anch’esse, monocrome come il fondo dei mosaici bizantini ma, come quelli, accese da bagliori imprevisti, generati là dall’orientamento deliberatamente diverso di ogni tessera, al fine di captare ogni raggio di luce, qui dalle minuscole particelle disposte dall’autore in modo da emergere e inabissarsi secondo un suo segreto intendimento.