Il «Manifesto del Surrealismo» di André Breton, redatto nell’autunno del 1924, è il nucleo ideale della mostra del «centenario» al Musée national d’art moderne del Centre Pompidou. Mai così tanti fogli di quel documento sono stati presentati al pubblico, prestati dalla Bibliothèque nationale de France, che da parte sua ne espone alcuni nel suo nuovo museo, aperto nel 2022. Le pagine sono allestite in una vetrina (come quella voluta da Marcel Duchamp nel 1947) al centro del percorso, pensato come un labirinto a spirale. Alle pareti sono proiettati brevi film, fotografie e documenti d’archivio che ne raccontano la genesi. I visitatori sono accompagnati dalla voce di Breton, «clonata» dall’Ircam del Centre Pompidou con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale, mentre legge il suo «Manifesto».
«Surréalisme. La mostra del centenario. 1924-2024» è presentata dal 4 settembre al 13 gennaio 2025 ed è l’ultima grande rassegna del Centre Pompidou prima della lunga chiusura per lavori di ristrutturazione. Il percorso, crono-tematico, è articolato in 13 capitoli: alcuni ruotano intorno ai temi tipici del sogno, della foresta, della notte; altri intorno a personaggi della letteratura come Alice di Lewis Carrol, della tradizione popolare come la fata Melusina, e dei miti come le chimere omeriche. Tra le opere esposte: «Il cervello del bambino» (1914) di Giorgio de Chirico, prestato dal Moderna Museet di Stoccolma, «La Grande Foresta» (1927) di Max Ernst dal Kunstmuseum di Basilea, «Il grande masturbatore» (1929) di Salvador Dalí dal Reina Sofía di Madrid e il «Cane che abbaia alla luna» (1952) di Joan Miró dal Philadelphia Museum of Art. Nel percorso si incontrano anche i lavori delle surrealiste Leonora Carrington, Remedios Varo, Ithell Colquhoun, Dora Maar, Dorothea Tanning, oltre che del giapponese Tatsuo Ikeda e del messicano Rufino Tamayo.
«L’ultima mostra sul Surrealismo al Centre Pompidou risale al 2002. Era cronologica e riguardava la prima metà della storia del movimento, dal 1924 agli anni ’40. Aveva inoltre un approccio molto maschile ed europeo, ha spiegato Marie Sarré, cocuratrice della mostra insieme a Didier Ottinger, vicedirettore del museo. La nostra rassegna abbraccia il movimento nella sua globalità, ovvero sino alla fine degli anni ’60. La storia dell’arte ha escluso per tanto tempo le artiste che invece sono state parte integrante del movimento surrealista. Proponiamo quindi una mostra molto femminile, tenendo conto anche degli studi sulle donne surrealiste portati avanti due anni fa dal Musée de Montmartre, a Parigi, e delle recenti ricerche svolte nel mondo anglosassone sul ruolo delle artiste nel Surrealismo. Consideriamo inoltre anche la dimensione internazionale del movimento, che si è diffuso non solo in Europa e negli Stati Uniti, ma anche nel Maghreb, in Cina, Giappone e America del Sud. Beneficiamo oggi dei formidabili studi portati avanti dal Metropolitan di New York e dalla Tate Modern di Londra per una mostra del 2017 che riscopriva i focolai surrealisti in Africa, India e Australia. La nostra intenzione è di avvicinarci il più possibile all’effettiva realtà del movimento».
Il Surrealismo è ancora attuale?
Più che mai! È stato l’unico movimento d’avanguardia a prendere le distanze dal Modernismo in una fase molto precoce. Contro l’industrializzazione, il macchinismo e il progresso, i surrealisti intuirono che era necessario inventare un nuovo rapporto con il mondo, più in armonia con la natura e il cosmo. Si può dire che il pensiero surrealista abbia anticipato l’attuale pensiero ecocritico. Si pensi alla modernità del testo di Benjamin Péret del 1937 pubblicato sulla rivista «Minotaure», ispirato alla fotografia di una locomotiva divorata dalla giungla amazzonica, che si intitola «La natura divora il progresso e lo supera».
Quanto influenza l’arte contemporanea?
Il Surrealismo non può essere ridotto a un’estetica o a un formalismo: è soprattutto una filosofia, un’esperienza collettiva che non si riduce a dogmi estetici, ma si costruisce intorno a valori condivisi. Questo è anche ciò che ne garantisce l’eccezionale longevità e vitalità, poiché si arricchisce continuamente di nuovi contributi. Nacque nel 1924 come reazione alle atrocità della Prima guerra mondiale e si affermò in tutti i Paesi come reazione all’ascesa del fascismo. Anche oggi, con il riemergere dei nazionalismi, gli artisti trovano rifugio nel «meraviglioso» surrealista. Basta guardare alla Biennale di Venezia del 2022 (intitolata «Latte dei sogni» in riferimento a un libro di Leonora Carrington) o alle ultime sfilate di Moschino e Schiaparelli per rendersi conto della sua vitalità.
La mostra nasce dalla collaborazione del Centre Pompidou con altre istituzioni ed è itinerante.
In cinque tappe. Sono cinque mostre tematiche con un nucleo comune di opere, ma tutte diverse. La prima, presentata fino allo scorso luglio ai Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles, era incentrata sui legami con il Simbolismo belga. Dopo Parigi, la mostra sarà alla Fundación Mapfre di Madrid e analizzerà il ruolo nel Surrealismo degli artisti spagnoli, poi alla Kunsthalle di Amburgo con un dialogo tra Surrealismo e Romanticismo tedesco, e al Philadelphia Museum of Art, nel 2026, che esplorerà l’importanza del Surrealismo nelle Americhe. Preciso che Il Manifesto di Breton è presentato solo a Parigi.