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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliÈ un momento d’oro per la rivisitazione di pittori del XVIII secolo ingiustamente trascurati con mostre in musei di qualità lontani dai clamori parigini.
Avviata dalla decisiva monografia di Marie Fournier (Arthena, 2023), si chiude il 23 giugno, al Musée de la Chartreuse a Douai, la rassegna «Brenet, un Peintre du Roi à Douai au XVIIIe siècle» che toglie dall’ombra Nicolas-Guy Brenet (1728-92). Allievo di Antoine Coypel, François Boucher, Charles-André Van Loo, Brenet non appare fra i nomi «in grassetto» della pittura francese, nonostante la sua opera (in mostra oltre 40 fra disegni, piccole tele e ampie composizioni religiose, mitologiche e storiche) passi da un Rocaille vaporoso a un Neoclassicismo d’anticipazione al nascente stile Troubadour, brillando sempre sia per l’impianto fastoso dei dipinti allegorici e mitologici, sia per la maestria da amanuense nei dettagli dei suoi ritratti, soprattutto i tessuti: dalla lucentezza dei tessuti esotici e cangianti ai rigati di stile Luigi XVI disposti in sapienti giochi ottici.
Si apre il 14 giugno (fino al 28 settembre) a Carpentras la mostra «Duplessis (1725-1802). L’Art de Peindre la Vie», dedicata al pittore nato 300 anni fa a Carpentras e alla sua epoca ritenuto «il più grande ritrattista del regno» e che alla Bibliothèque-Musée de l’Inguimbertine mette in luce il talento di un artista che resta pietra miliare nella storia del «ritratto di corte»: a narrarne il talento da virtuoso oltre 60 opere da Stati Uniti, Canada, Svizzera, Versailles e Louvre, collezioni private e dalla stessa Inguimbertine che ne detiene il più ricco fondo pubblico: 22 dipinti e disegni (fra cui i due soli dipinti religiosi).
Ritrattista ufficiale di Luigi XVI, Joseph-Siffred Duplessis seppe catturare l’essenza psicologica e fisiognomica dei personaggi ritratti con rispondenza così perspicace che fu di rado eguagliata nei secoli successivi, unendola al realismo attento per volti e incarnati e nei materiali tessili (in cui rivaleggiò col citato Brenet e, a livello europeo, con lo svedese Alexander Roslin, 1718-93). Duplessis gestì la propria carriera da antesignano esperto di marketing, ben conscio che dipingere personaggi noti era per un ritrattista un volano necessario al successo e in quest’ottica si dedicò puntigliosamente ad accattivarsi il favore della Corte, della nobiltà e dei grandi ricchi, dei politici e delle personalità della cultura. Ebbe così nel 1775 l’incarico dei ritratti ufficiali del ventunenne re Luigi XVI appena asceso al trono: a mezzo busto e in tenuta d’incoronazione (il più famoso di quel sovrano di cui rese l’anche oggi altissima statura: 1,91 metri) e di vari personaggi dell’entourage reale: i fratelli Monsieur conte di Provenza (Luigi XVIII) e il conte d’Artois (Carlo X), i ministri Jacques Necker e Charles-Claude d’Angiviller (1730-1809), ultimo direttore generale dei Bâtiments du Roi, la principessa di Lamballe (Marie-Thérèse-Louise di Savoia-Carignano, 1749-92) migliore amica di Marie-Antoinette nonché la regina stessa, al primo incarico nel 1771 di ritrarre l’allora Delfina a cavallo, richiesta dell’imperatrice Maria-Teresa, che però non si fece perché la 16enne ritraenda rifiutò il ritratto preparatorio in cui si vide imbruttita e intristita (e non aveva tutti i torti, valutando l’iconografia della regina). Sull’onda di tali committenze, il Tout-Paris degli anni 1770-80 gli affidò i suoi ritratti: celeberrimi quelli del compositore Christoph-Willibald Gluck (1775) del plenipotenziario delle Colonie d’America a Versailles Benjamin Franklin (1706-90), che restò il preferito di Franklin tanto da fargli rinunciare ad altri ritratti. Sono forse i tre ritratti «americani» ad aver ottenuto fra le opere di Duplessis la massima popolarità: fra 1928 e 1996 l’incisione tratta dal ritratto di Benjamin Franklin «Col de fourrure» (1778-79) appare sulle banconote da 100 dollari, sostituita dal 1996 dal pastello «à la Veste Grise» (1777-78) preparatorio al ritratto «en fourrure». Nel marzo 2019, Donald Trump volle il dipinto «à la Veste Grise», terzo della serie e tratto nel 1785 dal pastello (National Portrait Gallery, Washington) alla parete dello Studio Ovale dove, mantenuto da Biden, lo ha ritrovato.
Nonostante questi successi, il disinteresse della regina, che subito gli preferì Madame Vigée-Lebrun, arenò la carriera di Duplessis fra gli ultramondani di Versailles ma Joseph-Siffred, confermando la sua strategica capacità di promuovere sé stesso, utilizzò il palma res «istituzionale» per conquistare la folta clientela della provincia oltre Versailles: aristocratici campagnoli, imprenditori borghesi e magistrati «de robe», tutti altrettanto ricchi e fra loro influenti, creando così un’opulenta clientela «di nicchia». Il catalogo Lienart Èditions raccoglie l’opera completa di Duplessis (quasi 200 dipinti).

Nicolas-Guy Brenet, «Ritratto di Marie-Claire-Charlotte Herts». © Delon-Hoebanx