È risaputo che nel corso del XV e XVI secolo la pittura si sia elevata di rango sociale e intellettuale, affiancando l’arte della poesia. Meno noto è che all’inizio del Seicento il rapporto tra arti visive e letterarie fu portato a un livello completamente nuovo dal poeta napoletano Giovan Battista Marino (1569-1625). Il suo impegno senza precedenti nel tradurre in versi la pittura è oggetto della mostra «Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione» nella Galleria Borghese di Roma dal 19 novembre al 9 febbraio 2025.
La mostra, a cura di Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, mira a stabilire la centralità storica dell’arte di Marino, ancora poco riconosciuta a quattro secoli dalla sua morte. Come dice Zezza, «quando pensiamo al primo Seicento, pensiamo a Caravaggio, Bernini, Rubens, ma in tutto questo Marino ha avuto un ruolo significativo».
Questo ruolo è incarnato dalla galleria ideale che Marino sognò per gran parte della sua vita peripatetica, mentre si spostava da una corte all’altra (da Napoli a Roma, Genova e Torino, per poi stabilirsi a Parigi nel 1615 prima di tornare nella sua città natale prima della sua morte) familiarizzando con le loro collezioni d’arte e con alcuni dei principali artisti europei. Il progetto vedrà la luce solo in forma letteraria: La Galeria (1619) è composta di 624 strofe che, come sottolinea Zezza, «competono con» artisti e opere d’arte. «Il Rinascimento aveva già favorito un rapporto tra pittura e poesia, prosegue Zezza. Ma Marino ha scritto un intero libro dedicato a questo rapporto, in un momento in cui cominciavano a nascere spazi dedicati esclusivamente alla visione dell’arte, le gallerie».
La mostra riunisce le prime edizioni dei libri di Marino alle opere d’arte che vi si riferiscono, sia direttamente sia cogliendo l’essenza della sua visione poetico-pittorica, incarnata in particolare da l’Adone (1623), il suo racconto riccamente allegorico e carico di immagini dedicato alla storia d’amore tra Venere e Adone. Tra le opere di spicco, il «Narciso» di Tintoretto (1550) e il «Ritratto di Giovan Battista Marino» di Frans Pourbus il Giovane (1621 ca), e soprattutto l’ultima sala, che esplora il rapporto di Marino con Nicolas Poussin, conosciuto a Parigi mentre era al servizio della corte di Luigi XIII e Maria de’ Medici. L’«Impero di Flora» di Poussin (1630-31 ca), afferma Zezza, «rappresenta i temi principali della poesia di Marino, che attraverso la mitologia manifestava una sorta di enciclopedia del sapere».
In un modo adeguatamente lieve, la mostra realizza il sogno del poeta: «Il gioco di specchi di Marino, attraverso il quale riflette immagini in parole, conclude il curatore, si è trasformato nel nostro stesso atto di specchiare la sua galleria ideale in quella reale realizzata dal cardinale Scipione Borghese, suo contemporaneo».