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«Senza titolo» (2010), di Pietro Roccasalva. Foto: Isoli Stefano

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«Senza titolo» (2010), di Pietro Roccasalva. Foto: Isoli Stefano

Gli scherzi dadaisti dei fantasmi di Roccasalva

La Collezione Olgiati festeggia dieci anni con una retrospettiva del pittore siciliano

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Artista dotato di una ricca cultura visiva e di sapienza tecnica, Pietro Roccasalva (Modica, Rg, 1970) è il protagonista della mostra «Chi è che ride» (fino al 18 dicembre), con la quale la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, da sempre attenta agli artisti italiani, festeggia i suoi dieci anni.

Roccasalva presenta una cinquantina di opere composte in cicli, dalla fine degli anni Novanta a oggi, introdotte da un lavoro al neon prodotto per l’occasione, che dà il titolo alla rassegna: un’onomatopea, tratta da Il Bafometto di Pierre Klossowski che, in una sorta di «alba», fredda ma luminosa, evoca il canto del gallo. Alle sue spalle va in scena un ciclo di grandi opere su tela «From Just Married Machine» (2018), scaturito da un suo tableau vivant ispirato a un frame de «La ricotta» di Pier Paolo Pasolini.

Se il titolo evoca l’antipittorica «Mariée» del «Grande vetro» di Duchamp, ogni dipinto, qui, assomma invece in sé una sovrabbondanza di stimoli visivi di natura intensamente pittorica. Perché, per quante tecniche l’artista usi (scultura, fotografia, video, performance), è la pittura il linguaggio in cui più si riconosce, non essendo gli altri mezzi espressivi, per lui, altro che strumenti per raggiungere la sua meta pittorica.

Di quelle stratificazioni, alcune fanno pensare a certa nostra arte del ’900, da Savinio a de Chirico, da Sironi a Modigliani ma, lungi dall’essere citazioni, queste immagini sembrano affiorare da profondità stratificate della memoria per generare una pluralità di suggestioni, lasciate dall’artista volutamente aperte all’interpretazione dell’osservatore.

Vicino al Dada, Roccasalva crea accostamenti incongrui: la sposa di «From Just Married Machine» impugna una racchetta da tennis la cui incordatura riproduce il disegno pavimentale di Michelangelo per piazza del Campidoglio. La stessa racchetta torna nei dipinti di «La Sposa occidentale» (2021), così come lo spremiagrumi presentato dal «Traviatore» (2012-14) ricompare, in veste di cupola, nella serie «Giocondità» (2021), dove una chiesa «sironiana» trascolora nelle diverse ore del giorno.

Tutto ritorna nel lavoro di Roccasalva, ma sempre all’insegna dello slittamento di significato (in catalogo ne parla Flavia Frigeri), fino alla spiazzante scultura «Fanfaro» (2014), un varano cui un bimbo morde la coda, che stringe tra gli artigli un arancino, simbolo del sole morto: un «tramonto» che chiude simmetricamente il percorso.

«Senza titolo» (2010), di Pietro Roccasalva. Foto: Isoli Stefano

Ada Masoero, 10 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

Gli scherzi dadaisti dei fantasmi di Roccasalva | Ada Masoero

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