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Nella sede di Manhattan, oltre ai lavori più noti dell’artista statunitense sono esposti anche quelli su carta: una finestra sul suo modus operandi
- Giorgio Guglielmino
- 03 settembre 2024
- 00’minuti di lettura


«Men don't protect...» (1989) di Jenny Holzer
© 1989 Jenny Holzer, membro della Artists Rights Society (Ars), Ny. Foto: Sveva Costa Sansevrino
Holzer a matita da Sprüth Magers
Nella sede di Manhattan, oltre ai lavori più noti dell’artista statunitense sono esposti anche quelli su carta: una finestra sul suo modus operandi
- Giorgio Guglielmino
- 03 settembre 2024
- 00’minuti di lettura
Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliLa sede di Manhattan della galleria Sprüth Magers ci sta abituando a mostre non solo di grande qualità, ma anche con un tocco in più che le rende speciali. Aveva iniziato con la personale di Alighiero Boetti, che oltre a presentare alcuni dei suoi classici, dai piccoli arazzi alle grandi mappe, ai lavori a biro, mostrava la ricostruzione di una parete dello studio dell’artista torinese dove egli era solito assemblare decine e decine delle sue opere più piccole, a formare una sorta di enciclopedia del suo linguaggio.
Dal 5 settembre al 2 novembre, la galleria presenta la prima mostra nello spazio newyorkese di Jenny Holzer intitolata «Words» che ugualmente contiene qualcosa di raro. Oltre a lavori con i led luminosi e alcune panche in marmo con le caratteristiche scritte, il percorso è incentrato su una parte meno conosciuta, e meno esposta, della produzione di Holzer: le sue carte. La mostra presenta infatti molti lavori preparatori per le panche incentrati sulle scritte da utilizzare. Queste sono tracciate a matita su carta da lucido e inquadrate dai bordi che indicano le dimensioni finali del marmo. Seppur si tratti di composizioni in funzione delle sculture, queste sono a tutti gli effetti opere compiute. Hanno, anzi, un fascino delicato, reso ancora più intrigante dal fatto che alcuni disegni riportano annotazioni a mano, a volte anche impronte delle dita della stessa Holzer lasciate sulla superficie, relative alla successiva esecuzione dell’installazione. Queste carte mantengono un posto speciale nell’intera produzione dell’artista che solitamente è fatta di materiali che non mostrano l’intervento manuale della sua autrice. Dai display luminosi su cui scorrono le sue frasi alle piccole targhe in bronzo che riportano ognuna uno dei suoi «Truism» fino alle proiezioni sulle facciate dei palazzi che danno poi luogo a lavori fotografici, le opere nel loro stadio finale sembrano uscite da una fabbrica. Qui invece no. La mano di Holzer sembra materializzarsi quando guardiamo la superficie della carta da lucido e questo rende la mostra affascinante e unica.
Anche questa volta, quindi, uno show con un tocco in più: una finestra sul modus operandi dell’artista. Le opere su carta da lucido posso quindi essere paragonate alla parete della mostra di Boetti: in tutti e due i casi ci è stato permesso uno sguardo intimo e unico, come se avessimo il privilegio di trovarci all’interno dei loro studi.