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Gianfranco Ferroni
Leggi i suoi articoli«Questi piccoli pezzi di legno, di tanti anni fa, adesso sono entrati in un museo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea»: Mario Ceroli, visibilmente soddisfatto, e con un filo di commozione svela che il suo sogno è diventato realtà. Classe 1938, nato a Castel Frentano (Ch), questa mattina, 6 ottobre, ha presentato a Roma la rassegna «Ceroli Totale» (fino all’11 gennaio 2026), in collaborazione con Banca Ifis, a cura di Renata Cristina Mazzantini, direttrice della Gnamc, e Cesare Biasini Selvaggi. Una mostra che ripercorre settant’anni di ricerca dello scultore attraverso una selezione di venti opere tra sculture e installazioni provenienti dalle collezioni dell’istituzione romana, di Banca Ifis e dell’artista. Non sono mancati i ricordi personali, come «la passione per l’arte nata visitando da piccolo, a Caprarola, Palazzo Farnese e i suoi giardini». Per il museo statale di Valle Giulia, Ceroli ha creato due opere site specific dal titolo «La grande quercia» e «Le ceneri».
«È un privilegio ripercorrere con Mario Ceroli le tappe più significative di una carriera artistica che, capolavoro dopo capolavoro, attraversa la storia dell’arte italiana, dalla Scuola di Piazza del Popolo all’Arte Povera, fino a oggi. Ceroli ha magnificamente messo in scena una mostra ricca di suggestioni che reinterpretano ogni lavoro, storico e recente, con autoironia in una costante ricerca di sé», per Mazzantini. Da parte di Ernesto Fürstenberg Fassio, presidente di Banca Ifis, è stato sottolineato che quella esposta è una «selezione dei capolavori acquisiti da Banca Ifis, che documenta la sua carriera artistica dagli anni Cinquanta a oggi. È un obiettivo che abbiamo iniziato lo scorso anno proprio alla Gnamc, che oggi si rafforza con questa mostra e che prevede nel 2026 l’apertura al pubblico del Museo Ceroli. La volontà della nostra banca è avanzare verso l’apertura del museo per conservare la collezione, nell’ambiente affascinante della casa, giardino e hangar-studio dell’artista, e consentirne la ricerca e la sperimentazione attraverso laboratori e atelier destinati ai giovani». E l’artista ha evidenziato che la rassegna è stata «concepita secca e semplice, con un sapore attuale, seria, fatta con la testa ma anche con il cuore, culturalmente sana. Le opere che si succedono di sala in sala mi fanno sentire lo slancio e l’entusiasmo di quando da ragazzo, a diciassette anni, realizzai il tronco inchiodato oggi esposto dal titolo “Composizione”, di proprietà della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Quando ho terminato l’allestimento mi è sembrato di trovarmi in una grande piazza, quella di piazza del Popolo, del Caffè Rosati, quando Roma era l’avanguardia, con le gallerie dell’epoca, La Tartaruga, La Salita, L’Attico, e la nuova generazione della scuola romana».
Nelle sale del museo, ecco «La Cina» (1966), «Primavera» (1968), «Balcone» (1966), «Progetto per la pace» (1969), «La battaglia» (1978), accanto a lavori mai esposti, tra cui «Sesto senso» (1999), «Le chiacchiere» (1989), «Tela di Penelope» (1992) e «Arpa birmana» (1992). «Ultima cena» (1965) apre la scena sui dodici apostoli, divisi in due gruppi, intagliati nel legno grezzo con un’essenzialità giottesca, uguali nella loro postura rigorosa su uno scranno, senza la consueta tavola imbandita di fronte. Al centro, il fulcro della scultura dall’espressività monumentale è rappresentato da un posto vuoto, che non è un’assenza qualunque, ma proprio quella di Gesù. Segue «Le bandiere di tutto il mondo» (1968), un’installazione di oltre otto metri e mezzo lineari di canali zincati che ospitano, come antichi sacelli, pigmenti policromi, frammenti di vetro, frammenti di carbone, gomma lacca, sassi, trucioli di ferro, scaglie di solfato di rame: ciascun elemento racconta in sé la propria storia. All’ingresso, attende il visitatore «Mangiafuoco» (1990), una scultura inedita costituita da assi (il volto) e filamenti di legno (i capelli della folta chioma), ottenuti dai residui di precedenti lavori, anticipando i temi dell’ecosostenibilità e dell’economia circolare applicata all’arte.

Da sinistra: Ernesto Fürstenberg Fassio, Renata Cristina Mazzantini e Mario Ceroli