Dal 4 al 31 ottobre la Fabbrica del Vapore accoglie la prima grande retrospettiva dell’opera pittorica di Jean-Marie Barotte (1954-2021), singolare figura di uomo di teatro, studioso di letteratura, filosofia e mistica, e, dalla fine degli anni ’80, pittore (catalogo Silvana). I curatori Chiara Gatti e Marco Bazzini, con Maria Cristina Madau, hanno voluto ricreare il cammino interiore, in bilico tra pittura e filosofia, compiuto dall’artista e da lui continuamente alimentato dalla lettura dell’opera poetica e letteraria di Edmond Jabès e di Paul Celan, dal misticismo di san Giovanni della Croce, dal pensiero di Jacques Derrida.
Padre francese e madre italiana, cresciuto nella fervida Milano degli anni ’60 e ’70, Barotte ha praticato lungamente il teatro da attore, diretto dal 1980 dal regista e pittore Tadeusz Kantor (nel 1987 partecipa a documenta 8 di Kassel con lo spettacolo di Kantor «Macchina dell’amore e della morte»), fino a che, nelle camere d’albergo delle tournée, non ha preso a tradurre il suo pensiero in immagini pittoriche spesso influenzate dalle riflessioni sul passaggio dal buio alla luce, così frequenti nelle riflessioni di san Giovanni della Croce, mettendo a punto un processo alchemico di sedimentazione della cenere («ciò che resta del fuoco», in un omaggio a «Feu la cendre» di Derrida), con il quale ha realizzato uno speciale nerofumo. Dieci le «stanze» del cammino iniziatico in cui si configura la mostra, intitolate «La Stanza del teatro», «Au commencement était le signe» e «Il giardino segreto», «Méditations éroti-
ques», «La noche oscura», «Voyage de l’âme», «Nerocenere», «Cosmografie», «Ultima Suite» e «Tout se tient en équilibre précaire», tutte abitate da lavori di piccole dimensioni, in cui la figura dell’autore sembra porsi volontariamente dietro le quinte, per effetto di una continua sottrazione di ogni elemento di disturbo, alla costante ricerca dell’essenziale. Vissuto tra Milano, Parigi e Ibiza, Barotte si è nutrito, come suggerisce Chiara Gatti, della grande cultura artistica di ognuna di queste patrie del cuore, da lui ibridata con «il vocabolario informale del ’900 e, soprattutto, [con il] lato filosofico dell’epicentro parigino, erede degli studi di Georges Bataille».