Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Una veduta della mostra «Il culto del Bello. Antonio Canova, Giovanni Degli Alessandri e l’Accademia di Belle Arti di Firenze», Accademia di Belle Arti, Firenze, 2022

Image

Una veduta della mostra «Il culto del Bello. Antonio Canova, Giovanni Degli Alessandri e l’Accademia di Belle Arti di Firenze», Accademia di Belle Arti, Firenze, 2022

Il culto dell’Accademia di Belle Arti di Firenze

Nell’anno del bicentenario della scomparsa di Canova una mostra indaga il rapporto tra il grande scultore e l’istituzione fiorentina

Image

Laura Lombardi

Leggi i suoi articoli

Si inaugura all’Accademia di Belle Arti la mostra «Il culto del Bello. Antonio Canova, Giovanni Degli Alessandri e l’Accademia di Belle Arti di Firenze» (30 giugno-8 ottobre, catalogo Polistampa) a cura di Sandro Bellesi, nell’anno del bicentenario della scomparsa di Canova. Un progetto teso a mettere in luce i rapporti che legarono lo scultore all’istituzione fiorentina, la quale, fin dagli anni della riforma lorenese, ebbe un ruolo di spicco nel dibattito estetico nazionale.

Il percorso si articola con rigore metodologico intorno al concetto di «bello ideale» neoclassico, tra due spazi dell’Accademia (nell’allestimento di Claudio Rocca, peraltro direttore della stessa accademia): la cosiddetta sala del Ghiberti, cui si accede dalla loggia esterna, restaurata grazie al contributo della Fondazione CR di Firenze,  che prende il nome dal monumentale calco della Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, ad opera di Vincenzo Ciampi; poi, attraversato il cortile interno, la sala della Minerva.

Dipinti, disegni, sculture perlopiù in gesso, calchi da originali in marmo (e usate nelle accademia proprio a fini didattici), medaglie e documenti (esposti anche nella Biblioteca), tutti compresi tra il 1784 (anno della fondazione per volere del granduca Pietro Leopoldo) e il 1828, ultimo anno della presidenza di Giovanni Degli Alessandri. Figura chiave nel rapporto con Canova, egli contribuì alla fioritura dell’Accademia negli anni della direzione di Pietro Benvenuti, maestro di pittura con una selezione di opere in mostra.

Prestiti provenienti dall’accademia stessa e da collezioni private sono riuniti in un’iniziativa che permette di valorizzare l’identità storica del luogo, il cui patrimonio è migrato in altre istituzioni pubbliche oppure che per ragioni didattiche, è raramente esponibile. Un problema che riguarda molte accademie d’Italia (tra cui l’Accademia di Brera a Milano) dove la priorità degli spazi è, giustamente data a laboratori e agli insegnamenti teorici, rispettandone la vocazione formativa.

Tuttavia, mostre come questa fortemente voluta dal presidente dell’istituzione, Carlo Sisi, offrono temi di riflessioni non certo polverosi ma di grande vitalità e stimolo intellettuale. Notevole è la campagna di restauri compiuta sotto la supervisione dell’Opificio delle Pietre Dure, tra cui spicca, al centro della sala della Minerva, il gesso del «Perseo» proveniente dall’atelier di Canova; nella stessa sala anche i gessi dei fregi del Partenone (i cui marmi erano stati portati a Londra da Lord Elgin) e che Canova si pregiò di far giungere a Firenze, dal British, in cambio dei calchi del Gruppo della Niobe, oggi agli Uffizi; nella sala di Ghiberti, sono presentati diversi progetti di un tempietto mai realizzato per ospitare il gruppo antico, all’aperto, nel giardino di Boboli.

Che il ruolo di Canova all’Accademia di Firenze sia stato rilevante è testimoniato anche dalla tela del 1809 di Gaspare Martellini che raffigura lo scultore accanto a Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone e Granduchessa di Toscana (negli anni del governo francese), intenta a distribuire agli artisti i premi annuali dei concorsi indetti annualmente.

Oltre a dipinti e disegni e sculture di chi si formò in quegli anni, come Luigi Sabatelli (nelle cui opere si accentua piuttosto il sentimento del «sublime») o Giuseppe Bezzuoli, e un gruppo di nudi di Anton Raphael Mengs, la mostra propone anche un altro tipo di produzione che andava di pari passo con quella di invenzione, ovvero le copie eseguite da pittori quali Santi Pacini, giunti nelle collezioni degli Uffizi a seguito delle  soppressioni dei conventi in età napoleonica (e che in epoca granducale furono spesso rimandate nei luoghi da cui gli originali erano stati sottratti) o incisioni come quella di Raffaello Morghen.

Una veduta della mostra «Il culto del Bello. Antonio Canova, Giovanni Degli Alessandri e l’Accademia di Belle Arti di Firenze», Accademia di Belle Arti, Firenze, 2022

Una veduta della mostra «Il culto del Bello. Antonio Canova, Giovanni Degli Alessandri e l’Accademia di Belle Arti di Firenze», Accademia di Belle Arti, Firenze, 2022

Laura Lombardi, 30 giugno 2022 | © Riproduzione riservata

Il culto dell’Accademia di Belle Arti di Firenze | Laura Lombardi

Il culto dell’Accademia di Belle Arti di Firenze | Laura Lombardi