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Che il design rappresenti una voce primaria della nostra economia, è risaputo. Che agli occhi del pubblico internazionale sia uno dei nostri territori culturali più seducenti, è da tempo oggetto di studio, così come studiate a fondo sono le relazioni «congenite», per così dire, che intrattiene con l’industria. Meno o pochissimo indagato, sinora, il rapporto tra il design e l’arte. Che invece esiste, ed è evidente a saper guardare: è questo il tema che affronta «Best of Both Worlds: ITALY. Arte e Design in Italia 1915-2025», la mostra ideata e curata da Stefano Casciani, scrittore, designer, editore e docente, per Adi Design Museum, dov’è visibile fino al 15 giugno nell’elegante allestimento di Piero Lissoni/GraphX.
Al centro della ricerca, dunque, quel legame virtuoso tra arte e design, tra funzionalità ed estetica che, spiega il curatore, è «un patrimonio che si è evoluto nel tempo e che ha fatto dell’oggetto non più soltanto uno strumento funzionale ma un protagonista della cultura visiva. Eppure, per molti anni il legame arte-design è stato ripudiato dai critici e dagli stessi designer, se si escludono figure come Mari, Munari e Mendini, le “tre M” cui ho dedicato un’area della mostra. Io desideravo dimostrare che queste affinità, invece, esistono».

Nathalie Du Pasquier, «Untitled», 2024. Photo: Alice Fiorilli. Courtesy the artist and Apalazzogallery
Per raccontare tale specificità, che ha decretato il successo mondiale del design italiano, la mostra parte dalla stagione utopica del Futurismo, quando figure come Balla, Pannaggi e Depero progettavano oggetti e arredi domestici (Balla, anche i famosi, coloratissimi abiti), mentre lo stesso Boccioni si confrontava con lo «Sviluppo di una bottiglia nello spazio» nella celebre scultura ma anche nel bellissimo disegno esposto qui: «Abbiamo avuto prestiti molto importanti dai Musei Civici di Milano: dal Museo del Novecento arriva la “Velocità d’automobile” di Balla, dal Castello Sforzesco il disegno di Boccioni, e diverse opere sono giunte dalle collezioni di Intesa Sanpaolo, prestatrici generose per varie sezioni del percorso (da qui giunge in mostra, tra le altre, l’opera specchiante di Pistoletto “il telefono”)», commenta Casciani. Che dopo questo incipit, «da cui a mio avviso non si poteva prescindere», ha sviluppato il percorso nella grande «navata» del museo esibendo, come suggerisce il titolo, il meglio dei due mondi dell’arte e del design.
Ecco allora l’astrattismo modernista, che vede riunite figure come il comasco Giuseppe Terragni, maestro dell’architettura razionalista ma anche pittore, e l’architetto e scenografo Luciano Baldessari. E, ancora, la stupefacente «Radio in cristallo» di Franco Albini. Poi è la volta delle «3 M», con gli inizi radical di Alessandro Mendini e poi i suoi lavori Neo Kitsch e con la severità dei progetti di Enzo Mari per Danese «e il suo libro fondativo per Olivetti, “Funzione della ricerca estetica”». E Bruno Munari con la lampada «Falkland» per Danese ma anche con l’impalpabile scultura «Flexi» di filo d’acciaio. Di grande interesse l’area sui «Riferimenti inconsci tra Arte e Design». Due esempi per tutti: il cubo minimalista nero del televisore «Black» di Marco Zanuso e Richard Sapper per Brionvega e il tavolo «Tour» di Gae Aulenti per Fontana Arte con le ruote di bicicletta, evocazione di «Roue de bicyclette» di Marcel Duchamp. È molto stimolante l’«intermezzo» dedicato agli stampi industriali: «Un tempo fatti interamente a mano, e tuttora rifiniti manualmente, questi stampi sono pesantissimi blocchi di acciaio che, se si dimentica la funzione, sembrano vere sculture», spiega il curatore, che porta ad esempio quelli di Alessi per gli oggetti di Lluís Clotet, di Patricia Urquiola e di Aldo Rossi (per la caffettiera «Conica»), mentre nell’area delle «Ricerche individuali» Casciani evidenzia il rimando tra le lampade a globo di Michael Anastassiades per Flos e la scultura «Corpo d’aria» di Piero Manzoni. In chiusura, «poiché nel contemporaneo non esistono più tendenze, esamino il collezionismo low cost e le edizioni d’arte-design». Con un ultimo «Intermezzo» sui vasi da fiori. Perché? «Perché un vaso ha una funzione minima: deve solo contenere acqua e fiori, conclude il curatore. E perciò è un oggetto su cui è molto, molto interessante lavorare».

Chaise Longue Albertina, Gabi Faeh, S.A.D. Società Artisti e Designer (Stefano Casciani, Anna Lombardi), produzione Zanotta, 1985. Photo: Santi Caleca. Courtesy Santi Caleca