Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Patricia Leite, «Tenebróre I (São Paulo), Tenebróre II (Mata Atlântica)», 2025

Courtesy of the artist, Thomas Dane Gallery and Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto © EstudioEmObra

Image

Patricia Leite, «Tenebróre I (São Paulo), Tenebróre II (Mata Atlântica)», 2025

Courtesy of the artist, Thomas Dane Gallery and Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto © EstudioEmObra

Il mondo al di là del tempo di Patricia Leite

La Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia ospita la prima personale in un’istituzione italiana dell’artista brasiliana con il supporto delle gallerie Mendes Wood DM e Thomas Dane: un percorso tra gli stilemi di una natura tanto speciale quanto universale

Matteo Bergamini

Leggi i suoi articoli

Lo studio di Patricia Leite è un grande open space in zona Vila Romana, a São Paulo, attualmente e felicemente un po’ spoglio perché Patricia, nata a Belo Horizonte nel 1955, sta vivendo un vero momento di grazia: fino al 25 maggio infatti, all’Instituto Tomie Ohtake, nella capitale paulista, è di scena la retrospettiva intitolata «Olho d’água», a cura di Germano Dushá, che ripercorre la sua quarantennale carriera attraverso 30 opere, tra pitture e oggetti, mentre dal 6 maggio l’artista sarà in mostra alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia con un progetto, «Cold Water», a cura di Milovan Farronato, completamente inedito e prodotto per l’occasione, evento collaterale della Biennale Architettura

In entrambi i casi, in Brasile e a Venezia, torna il tema dell’acqua, seguendo un silenzio liquido, un’atmosfera rarefatta, onirica e, contemporaneamente, una soglia per altri destini attraverso pitture che, in più di una occasione, catturano l’occhio in seduzioni che sembrano avere a che fare con la materialità dell’incisione, con una luce profonda e brillante, come solo la natura inondata dal sole riesce a trasmettere. 

Allieva alla scuola di Belle Arti di Belo Horizonte e successivamente amica di Amílcar de Castro (1920-2002), tra i più riconosciuti scultori e designer brasiliani, Patricia Leite inizia ad affacciarsi alla pittura giovanissima, nel 1978, dipingendo pura astrazione: «Dopo essermi iscritta alla Facoltà di Lettere, dove non mi trovavo affatto a mio agio, ho lavorato come educatrice e i laboratori di pittura e disegno per i piccoli probabilmente appassionavano più me che loro! Così sono passata a Belle Arti dove, all’epoca, l’astrazione era assolutamente di moda. Amílcar diventò una guida e una volta alla settimana, dopo le lezioni, ci trasferivamo al Museu da Pampulha (progettato da Oscar Niemeyer, nel 1940, uno dei simboli architettonici di Belo Horizonte, Ndr) dove lui aveva fondato una scuola privata, ma assolutamente abbordabile, e continuavamo a produrre, si dibatteva, ci si confrontava. Grazie a lui ho imparato la serietà del lavoro e a non desistere di fronte alle avversità».

Della «Geração ’80» che divenne famosa con il «ritorno alla pittura» e la relativa mostra simbolo alla Facoltà di Belle Arti del Parque Lage, a Rio de Janeiro, Leite non ha fatto parte, ma Jorge Guinle (1947-87), racconta, era il suo preferito a causa della sua libertà espressiva strabordante, dell’uso disinibito del colore, della materialità della pittura ad olio. 

Dopo un periodo di insoddisfazione e di sola pittura a pastello, è di nuovo Amilcar de Castro che apre nuove prospettive a Patricia Leite, presentandole idealmente Paul Klee, mentre un altro professore, la spinge sulla strada del colore ad olio: «Un giorno, seguendo queste suggestioni, mischiai l’olio con l’acrilico. Fu una folgorazione e da allora, e sono passati quasi quarant’anni, non ho più toccato pitture industriali». 

Patricia Leite, «Caverna», 2025. Courtesy of the artist, Thomas Dane Gallery and Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto © EstudioEmObra

Patricia Leite, «Cold Water», 2025. Courtesy of the artist, Thomas Dane Gallery and Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto © EstudioEmObra

Ma come tutte le carriere, anche quella di Patricia Leite ha vissuto alti e bassi, e crisi creative che sono state sciolte grazie, anche, alla visione di colleghi e amici che hanno intravisto per l’artista altre possibilità: «C’è stato un periodo in cui mi sono sentita svuotata, senza energia. Avevo montato una esposizione e addirittura io stessa avevo confuso un mio dipinto per quello di un’altra artista astratta. Sentivo che mi stavo ripetendo; mi ero allontanata da quella magia che Lorenzato (1900-95, storico pittore brasiliano che ha lasciato una produzione sterminata e che figura, anche, nel roster di artisti della galleria Mendes Wood DM, Ndr) raccontava, ovvero che il migliore lavoro è sempre quello che verrà. Ero quasi pronta a riporre tutto, ma una serie di viaggi per il Brasile mi diedero una scossa. Arrivai all’arcipelago di Fernando de Noronha, quando ancora erano isole quasi sconosciute, dall’ecosistema fragilissimo. Avevo una macchina fotografica e iniziai a scattare: davanti al mare mi accorsi che vi erano tre linee di colore perfettamente definite: l’azzurro del cielo, il blu profondo, e il bianco della sabbia. Questa figurazione, che in realtà non lo è davvero, anzi, è quasi astratta, ha rigenerato la mia poetica e il mio sguardo. Era il 2003. E dalla tela sono passata alla tavola, anche grazie alle sperimentazioni che ho potuto compiere con mio marito, che aveva un laboratorio di falegnameria in casa: dipingere su legno annulla tutte le texture che la pittura subisce a contatto con la tela».

A Venezia, come annunciato, non si vedrà la storica produzione dell’artista ma una serie di opere inedite, nella volontà della Fondazione Bevilacqua di gettare una luce sulle figure più significative della scena contemporanea internazionale, nuovamente in collaborazione con Mendes Wood DM e, in questo caso, con Thomas Dane.

Anche il rapporto con il mercato, il successo, le gallerie, non è una questione da poco per Leite: «Sono stata un’artista indipendente per quasi 40 anni. Questa condizione di dover provvedere a me stessa e al mio lavoro mi ha dato la capacità di resistere all’annichilimento che a volte il mercato porta, specialmente ai più giovani, proprio per il loro essere “spremuti” a causa delle alte prestazioni che il mercato richiede. In questo, ormai, sono ben definita: ho un certo ritmo di lavoro, i miei tempi e, soprattutto, quando entro in studio e sto con le mie pitture lascio fuori, anche per interi periodi, tutto quello che è il mondo delle relazioni, delle reti sociali, dell’apparenza. L’attenzione è solo per le opere da “risolvere”, e finché per me non lo sono, continuo a modificarle»

Tra le opere che saranno presentate a Venezia, c’è anche il dittico composto da «Tenebróre I (São Paulo)» e «Tenebróre II (Mata Atlântica)», che indaga la foresta di cemento, come è soprannominata, tanto dai paulistas quanto dai visitatori, la megalopoli brasiliana, ma anche la costruzione architettonica dell’originaria ed esuberante flora tropicale. E poi, certo, l’acqua, con la cascata «Véu da Noiva», velo da sposa, riferimento a una vera e propria attrazione paesaggistica del Minas Gerais, perché in fondo il genius loci non è semplicemente un espediente critico per raccontare una produzione, ma un vero e proprio attaccamento alle proprie origini, specialmente per quanto riguarda la «Brasilidade»: «Dipingo ascoltando musica e amo profondamente Milton Nascimento: quando sono lontana da casa e sento le sue canzoni mi prende il “banzo” (modo di dire per indicare una profonda nostalgia, Ndr)». 

Infine, come ogni pittore che si rispetti, c’è la forza della luce; nelle pitture di Leite viene completamente inventata e, contemporaneamente, universalizzata: lo stesso magenta della foresta al tramonto si ripropone nel cielo di Sampa e, perché no, in quello di certi pomeriggi nella Laguna. D’altronde, la natura e il paesaggio interiore, in fondo, appartengono all’umanità, esattamente come per tutti un bagno d’acqua fredda lava via il superfluo e risveglia l’essenziale: quello che in fondo ci pone di fronte, con il suo mondo al di là del tempo, Patricia Leite.

Patricia Leite. Foto Isadora Fonseca

Matteo Bergamini, 22 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Il mondo al di là del tempo di Patricia Leite | Matteo Bergamini

Il mondo al di là del tempo di Patricia Leite | Matteo Bergamini