Apre il 28 marzo da Gió Marconi a Milano la mostra «Valerio Adami. Laboratorio», un omaggio all’artista (in collaborazione con l’Archivio Adami) a novant’anni dalla sua nascita. L’esposizione chiude il 10 maggio.
Combinando forme piatte, colori saturi e contorni netti, negli anni Sessanta l’artista inserisce nelle sue opere elementi della vita quotidiana, creando nuovi e inaspettati rapporti tra essi e offrendo una visione critica e innovativa della realtà. È proprio questo il periodo preso in esame dalla mostra: dal 1962 fino ai primi anni Settanta, attraverso un itinerario tematico strettamente intrecciato ai viaggi e ai luoghi visitati dall’artista in quegli anni. Seguendo un ordine cronologico, l’esposizione intende evidenziare l’influenza che le atmosfere di quei luoghi esercitarono sulla sua opera e sul processo creativo.
Si parte da Londra, città che Adami visitò per la prima volta nel 1962. Durante il soggiorno, entrò in contatto con artisti come Graham Sutherland, Jim Dine e Richard Hamilton, figure che esercitarono un’influenza profonda sul suo lavoro. Pur non essendo di suo un appassionato di fumetti, Adami dimostrò un interesse evidente per «effetti sonori» all’interno delle sue opere, attraverso l’uso da una parte di parole onomatopeiche ispirate al linguaggio visivo delle strisce, dall’altra della musica contemporanea di Bruno Maderna e Luciano Berio.
Nello stesso periodo, con la moglie Camilla Cantoni, l’artista si trasferì ad Arona nella grande Villa Cantoni, che diventò un luogo di ritrovo per intellettuali e artisti. Al suo interno Adami allestì anche il suo atelier, dove si dedicò alla pittura e realizzò il film «Vacanze nel deserto» (1971), che sarà proiettato in questa mostra milanese. Girato in stile Nouvelle Vague, il film nacque dalla collaborazione tra Valerio Adami e il fratello Giancarlo Romani Adami, regista sperimentale, e vide la partecipazione, tra gli altri, di Dino Buzzati, Aldo Mondino ed Errò.
Il viaggio prosegue con una tappa a Parigi, che diventò la sua città d’elezione. Qui l’artista approfondì il tema degli interni urbani, intimamente connesso all’esplorazione della psiche umana. Questa ricerca trovò espressione in opere iconiche come «Privacy. Gli Omosessuali» e «Scena borghese. Una cameriera di buon cuore», dove emergono la deflagrazione dei corpi e la scomposizione dell’immagine, elementi distintivi dello stile di Adami del periodo.
Dopo gli interni parigini, caratterizzati da delicati colori pastello, il percorso espositivo si conclude con gli esterni di New York, dove i toni si fanno più cupi e la palette cromatica si scurisce. I coniugi Adami si trasferirono a New York nel 1966, soggiornando al Chelsea Hotel. Qui entrarono in contatto con l’ambiente underground della città, incontrando figure di spicco come Saul Steinberg, Ray Johnson e il poeta Allen Ginsberg.
In questa fase, l’artista esplorò la fotografia come nuovo mezzo espressivo, integrandola con il disegno, pratica che Adami impiegava abitualmente per progettare la composizione delle sue tele. In mostra è presentata una selezione di fotografie scattate nelle strade di New York. Da queste immagini nascono alcune delle sue opere più celebri, come «Latrine in Times Square» (di cui una versione è visibile in mostra) e «Hotel Chelsea Bathroom».
Un particolare focus della mostra è rappresentato dalla città di Milano, altro luogo chiave nel percorso di Adami. L’artista debuttò nella galleria milanese nel 1965 in una mostra collettiva, per poi tenervi la sua prima personale nel 1969. Quell’evento memorabile era caratterizzato da un’installazione unica: un incontro di boxe su un ring costruito nel seminterrato dello Studio Marconi. Il posizionamento del ring consentiva agli spettatori di assistere sia al match sia alla grande opera intitolata «Boxing Ring», creando un dialogo inedito tra dipinto e performance.

Valerio Adami, Studio Marconi, Milano, 1969. Foto di Enrico Cattaneo