La maggior parte degli storici dell’arte hanno archiviato l’amicizia tra Pablo Picasso e Diego Rivera come di brevissima durata. Secondo un racconto del loro primo incontro riportato nell’autobiografia di Rivera, l’artista messicano andò nello studio di Picasso nel 1914, «emozionato» come «un buon cristiano che si aspetta di incontrare nostro signore Gesù Cristo». Ma ben presto ci fu la crisi, con Rivera che accusò Picasso di aver rubato degli elementi dal suo capolavoro «Paesaggio zapatista» (1915), e il carattere di entrambi facilitò la rottura.
Il 4 dicembre apre al Los Angeles County Museum of Art (Lacma), la mostra «Picasso e Rivera: conversazioni attraverso il tempo» (fino al 7 maggio), che complica la storia. Il focus principale della mostra è l’interesse di entrambi gli artisti per l’antichità, dalla scultura greco-romana all’arte precolombiana. Ma la trama secondaria è il rapporto tra i due, che i curatori sostengono sia stato più profondo e duraturo di quanto si è creduto finora. In particolare, i curatori propongono un dipinto di Rivera mai esposto o pubblicato prima, che Picasso tenne nella sua collezione personale fino alla morte: «Composizione cubista. Natura morta con bottiglia di anice e calamaio», 1914-15.
La cocuratrice della mostra Diana Magaloni ha appreso dell’esistenza di quest’opera all’inizio del 2015, quando ha incontrato Bernard Ruiz-Picasso, nipote dell’artista e attuale proprietario del quadro. «Il fatto che Picasso abbia conservato questo dipinto nella sua collezione per tutti quegli anni ci ha spinto a fare ricerche più approfondite sull’amicizia con l’artista messicano e abbiamo scoperto che continuavano a sentirsi», afferma la Magaloni. Non ci sono però notizie ulteriori. La Magaloni ha trovato un paio di lettere scritte nel 1949 e nel 1957 che testimoniano del rapporto tra i due artisti. Il quadro è significativo dell’influenza di Picasso su Rivera, più giovane di cinque anni. Ciononostante, sostiene la curatrice, il quadro ha uno stile tipicamente di Rivera. «Il realismo del trompe l’œil è stupefacente e il colore è molto più brillante di quanto avrebbero fatto Picasso o Braque».