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Jeff Wall, «Boxing», 2011

Courtesy of the Artist

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Jeff Wall, «Boxing», 2011

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Jeff Wall, l’arte di sottrarre le immagini alla bulimia dell’attualità

Alle Gallerie d’Italia-Torino ventisette fotografie di grande formato, al tempo stesso familiari e perturbanti, riassumono quarant’anni di carriera dell’autore canadese, maestro nel trasformare la quotidianità in storia sospesa

Jeff Wall non fotografa la realtà: la ricostruisce, la mette in scena, la manipola. Eppure, proprio per questo, riesce a restituircela nella sua forma più pungente. Dal 9 ottobre 2025 al 1° febbraio 2026 le Gallerie d’Italia - Torino ospitano «Jeff Wall. Photographs», una retrospettiva curata da David Campany, direttore creativo dell’International Center of Photography di New York e massimo conoscitore dell’opera dell’artista canadese. Ventisette lavori di grande formato, dagli esordi della fine degli anni Settanta ai lavori più recenti, tra cui «Mask Marker» (2015), «The Giant» (1992), «Sunseeker» (2021), il trittico «The Gardens» (2017) e «The Informant» (2023), per ripercorrere più di quarant’anni di carriera e riscoprire un autore che ha cambiato il modo in cui guardiamo la fotografia contemporanea.

Le immagini di Wall sono al tempo stesso familiari e perturbanti. Ci portano dentro cucine, salotti e camere da letto dove l’ordinario diventa onirico. È il caso di «Boxing» (2011), due adolescenti a torso nudo che si sfidano con i guantoni in un salotto borghese color avorio: un ring domestico ispirato a un ricordo d’infanzia dell’artista, lui e il fratello Steve che cercavano di non rompere i mobili di casa. Un «quasi documentario», dove la precisione della ricostruzione fa sembrare la scena colta sul momento.

«Jeff Wall ha sempre camminato sulla linea sottile tra realtà e messa in scena, ci spiega Campany. Nella mostra ci sono immagini realizzate in modi diversi e in molti casi spero che lo spettatore non riesca a distinguere il confine. Alla fine, ciò che conta davvero è l’immagine».

Non è il trucco a impressionare, ma l’equilibrio tra cronaca e teatro. Ed è proprio questa oscillazione a rendere l’opera di Wall sempre attuale.

Il cinema, in particolare il Neorealismo italiano, è un riferimento costante. «Il cinema, salvo quello documentario, implica preparazione e collaborazione, ci racconta il curatore inglese. Anche un fotografo può lavorare così. I neorealisti usavano non attori e location reali per raccontare storie con forte senso di realtà. Jeff Wall ha realizzato molte fotografie in quello spirito, anche se, naturalmente, una fotografia non può davvero raccontare una storia. La sospende, la cancella, lasciando allo spettatore la possibilità di scrivere la propria, oppure di godersi semplicemente l’assenza di racconto».

Tra i vertici della mostra c’è «After “Invisible Man” by Ralph Ellison, the Prologue» (1999-2000), ricostruzione maniacale dello scantinato del romanzo, illuminato da 1.369 lampadine. Un luogo claustrofobico e incantato, dove il disordine si trasforma in magia. Non solo fotografia: un lavoro «scultoreo» che traduce in immagine la stratificazione letteraria e politica di Ellison.

Al fianco di queste immagini storiche, il recente «The Informant», realizzato nel 2023, testimonia il continuo interesse di Wall per la narrativa e la cronaca sociale. Ispirata al romanzo Últimas tardes con Teresa (1966) di Juan Marsé, la foto ricostruisce una scena nella Barcellona postbellica: Hortensia, giovane farmacista locale, osserva un ragazzo, Manolo, impegnato in un furto per far visita a Teresa, ragazza di famiglia agiata. Spinta dalla gelosia e dal senso del dovere, Hortensia decide di chiamare la polizia, sfruttando un telefono privato nella farmacia, unico accesso disponibile in un’epoca di servizi limitati. Wall cattura questo momento in due piani: un’inquadratura principale e una piccola immagine inserita che rivela Hortensia al telefono, creando un sottile cortocircuito tra quotidiano e tensione narrativa. Un’opera che conferma come Wall, anche oggi, sappia trasformare la quotidianità in storia sospesa, tra letteratura e realtà.

Tutti i lavori esposti affrontano natura, politica, conflitto, identità, ma sempre con ambiguità. «La vita contemporanea è piena di tensioni – sociali, psicologiche, politiche – ed è importante che l’arte le rifletta, osserva Campany. Ma l’arte è anche uno spazio di contemplazione. Senza ambiguità, c’è poco da contemplare. Vogliamo che l’arte sia coinvolta con il mondo, ma non che gli artisti diventino messaggeri unidimensionali. L’ambiguità e la contemplazione sono spazi in cui possono emergere l’imprevedibile e il nuovo».

E infatti, davanti alle fotografie di questo maestro classe 1946 originario di Vancouver, non ci troviamo mai di fronte a verità precostituite. Piuttosto, a stanze della mente che ci costringono a fermarci, osservare, costruire significati.

Resta poi un ultimo paradosso, quello del tempo. «Jeff è un artista inquieto, ci fa sapere Campany. Cerca di non ripetersi, anche se naturalmente ci sono temi e motivi che ritornano. Io stesso non so mai cosa farà dopo, e nemmeno lui lo sa. Ma ciò che mi sorprende davvero è che le sue opere del passato sembrino ancora fresche. Siamo abituati a pensare che la fotografia sia legata a un momento preciso, persino al minuto o al secondo. Le fotografie di Jeff non hanno questo legame con il tempo, ed è questo che le fa sembrare contemporanee anche decenni dopo la loro creazione».

In un’epoca bulimica che divora immagini come hamburger in un fast food, Wall riesce a sottrarle all’usura dell’attualità. Restano lì, enigmatiche e ipnotiche, fuori dalla cronologia, sospese tra realtà e finzione. Magia pura: ci costringono a fermarci in un presente che di solito non ha pazienza.

Una veduta della mostra di Jeff Wall alle Gallerie d’Italia-Torino. Foto Andrea Guermani

Germano D’Acquisto, 08 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Jeff Wall, l’arte di sottrarre le immagini alla bulimia dell’attualità | Germano D’Acquisto

Jeff Wall, l’arte di sottrarre le immagini alla bulimia dell’attualità | Germano D’Acquisto