Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliCon «Juan Muñoz. Historias de Arte» (fino all’8 marzo 2026) il Museo Nacional del Prado di Madrid inaugura una delle mostre più sorprendenti degli ultimi anni, non solo per la presenza di un artista contemporaneo all’interno del tempio della pittura antica, ma per la qualità del dialogo che s’instaura tra le sue opere e i capolavori della collezione permanente. Juan Muñoz (1953-2001), uno degli artisti spagnoli più influenti dell’arte contemporanea, prematuramente scomparso, ritorna al Prado, che amava frequentare assiduamente, con una retrospettiva curata da Vicente Todolí. La rassegna, che riunisce oltre 160 opere, tra sculture, installazioni, disegni, documenti e materiali d’archivio, plasma un percorso attraverso le ossessioni visive e concettuali dell’artista, restituendone la complessità con rara finezza. Il curatore non si è limitato a occupare gli spazi dedicati alle mostre temporanee, ma ha collocato alcune opere direttamente nelle sale dedicate ai maestri del Secolo d’Oro e del Barocco europeo. Con questi calibrati innesti, le figure enigmatiche di Muñoz (ventriloqui, osservatori silenziosi, personaggi senza gambe, uomini che sembrano capitati lì per caso) non interrompono la narrazione del Prado, ma la perturbano sottilmente. Influenzato da Borromini, Bernini, Velázquez e Goya, tra gli altri, Muñoz ha creato scenari in cui lo spettatore diventa attore, testimone e protagonista di scene cariche di tensione psicologica e mistero. Nella sua opera si riconosce una relazione concettuale costante con l’arte e l’architettura rinascimentale e barocca, evidente nel modo in cui affronta la prospettiva, la composizione e la costruzione scenica dello spazio.
Accanto ai ritratti di Velázquez, ai chiaroscuri teatrali di Ribera o alle anatomie vigorose di Rubens, gli uomini di resina e i pavimenti illusori dello scultore madrileno funzionano come contrappunti sulla fragilità dello sguardo, sulla natura ambigua della presenza e sulla costruzione stessa del reale. Gli echi di Velázquez e Goya risuonano in tutta la sua opera, dagli specchi che coinvolgono lo spettatore, come in «Five Seated Figures», che evoca «Las Meninas», alle scene che ricordano i «Caprichos» o i «Desastres de la guerra» e riprendono quella sottile linea tra il riso e il pianto, che tanto affascinava Muñoz.
Una veduta della mostra «Juan Muñoz. Historias de Arte» nella Galería Central dell’edificio Villanueva del Museo Nacional del Prado. Photo © Museo Nacional del Prado
Lo scultore, del resto, concepiva lo spazio come un dispositivo narrativo. Il suo lavoro sul non detto, sul momento sospeso prima dell’azione, sul gesto trattenuto, sulla complicità muta fra le figure, trova nel Prado un interlocutore privilegiato. In molte sculture opera un meccanismo simile a quello dei grandi ritrattisti del Seicento: la relazione tra personaggio e spettatore non è mai stabile, ma fluttua, caricandosi di tensione e di possibili significati. La teatralità, spesso sotterranea, che attraversa l’intera storia della pittura occidentale ritorna qui dislocata, come se l’artista mettesse in scena l’ombra di un dramma che non vedremo mai.
Particolarmente riuscita è la sezione dedicata al tema dell’illusione ottica e della prospettiva, dove Muñoz dialoga con i maestri del disegno architettonico e dell’inganno visivo. Le sue superfici inclinate e i balconi sospesi non rappresentano un semplice esercizio formale, bensì una riflessione sulla percezione come costruzione culturale. In questo senso, l’inserimento delle opere nel cuore del museo funziona come un cortocircuito e il visitatore scopre che la pittura antica e la scultura contemporanea condividono la stessa volontà di mettere in crisi ciò che consideriamo stabile. La mostra offre anche uno sguardo sul laboratorio intellettuale dell’artista, attraverso libri, fotografie e materiali che rivelano un pensiero nutrito di letteratura, filosofia e teatro. È un’opera che nasce dal confronto con la tradizione, non per celebrarla, ma per interrogarla. E la scelta del Prado come palcoscenico per questa interrogazione conferisce al progetto una profondità aggiuntiva: Muñoz rientra simbolicamente nella storia dell’arte che l’ha formato, ma lo fa da spettro inquieto, da narratore di spazi e silenzi. «Juan Muñoz. Historias de Arte» non è dunque una semplice retrospettiva; è un esperimento riuscito di convivenza tra epoche, linguaggi e sensibilità diverse. In un momento in cui i musei faticano a ripensare i propri modelli espositivi, la mostra del Prado indica una via possibile: mettere il presente alla prova del passato e permettere al passato di risuonare in modo nuovo attraverso il presente.
Una veduta della mostra «Juan Muñoz. Historias de Arte» al Museo Nacional del Prado, Madrid. Photo © Museo Nacional del Prado/Luis Asín