«Speech Bubbles (silver)» (2009) di Philippe Parreno

Foto: Sebastiano Pellion di Persano. Cortesia del Castello di Rivoli

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«Speech Bubbles (silver)» (2009) di Philippe Parreno

Foto: Sebastiano Pellion di Persano. Cortesia del Castello di Rivoli

La collezione Righi secondo Enea Righi

Al Museion 150 opere di 80 artisti del collezionista bolognese: «Gli artisti che ho scelto sono duri e difficili, ma mi hanno riconciliato con il mondo dell’arte a fronte dell’attuale deriva»

Ha iniziato più di trent’anni fa acquistando opere di pittura. Dopo l’incontro con Yvon Lambert e la sua galleria parigina, il bolognese Enea Righi, classe 1956, ha portato progressivamente la sua collezione, costruita poi insieme a Lorenzo Paini, a essere denotata dalla presenza di opere caratterizzate dall’impegno civico e sociale. Una selezione di 150 opere di 80 artisti costituisce la rassegna «Among the Invisible Joins» (letteralmente «tra le giunzioni invisibili»), prevista dal 28 settembre al 2 marzo 2025 nel Museion di Bolzano, istituzione che dal 2008 ha accolto un centinaio di opere della Collezione Enea Righi in deposito permanente a partire dalle quali nel 2010 ha realizzato la mostra «Che cosa sono le nuvole?». L’attuale «Among the Invisible Joins» è a cura del direttore di Museion Bart van der Heide con Frida Carazzato, Brita Köhler e Leonie Radine, in collaborazione con Lorenzo Paini.

Enea Righi, come descriverebbe la collezione oggi a chi non la conosce?
È composta da più di un migliaio di opere: nata come collezione soprattutto di pittura, oggi ne conta solo pochi esempi molto particolari, a firma, ad esempio, di Victor Man, che sento in linea con la mia passione che definirei figurativo-concettuale. È una collezione molto eclettica, sia per quanto riguarda il medium (pittura, scultura, fotografia, video e performance), sia per le forme di esecuzione. Il trait d’union è la connessione sui grandi temi sociali e politici. È un indirizzo che ha preso quasi senza volere, diventando nel tempo una collezione molto impegnata. Ho capito che questo era ciò che mi interessava, perché non mi fermo mai al solo elemento estetico, che non è onnicomprensivo del mio pensiero. È questo il principio che mi ha guidato e mi guida in questo momento molto destabilizzante di eccessiva offerta sul mercato. Gli artisti che ho scelto mi hanno riconciliato con il mondo dell’arte a fronte dell’attuale deriva.

Qualche esempio?
Le ultime opere che ho acquistato sono dure e difficili, ma mi hanno fatto pensare, mi hanno fatto ritrovare quella dimensione profonda che l’arte sta perdendo. Per esempio, «Elegy» della sudafricana Gabrielle Goliath: è un canto disperato di dieci donne in dieci video che le mettono in connessione l’una all’altra, donne che hanno subito violenza fisica o psicologica, un lavoro strepitoso. O lo straordinario «A love letter nonetheless» del libanese Rabih Mroué, che ho incontrato recentemente. È un’arte che fa pensare e fa volare la mente verso temi che hanno sempre un significato e un impatto importanti.

C’è un filo conduttore che unisce le opere selezionate per questa mostra?
La mostra segue diversi filoni distribuendosi su tutti i quattro piani del museo e le opere sono suddivise secondo quattro grandi linee di tendenza, a partire dal primo piano, che è la presa d’atto di un mondo in distruzione, per giungere gradualmente agli elementi di speranza che si incontrano nel quarto piano. La provenienza, il genere e l’età sono vari. 

Tra opere che si riferiscono alla memoria e alle migrazioni, o quelle che affrontano il rapporto con le tecnologie digitali, ci si imbatte spesso nel tema gender. 
Non è stato voluto e non è per una preferenza, ma è un tema molto presente perché grandi artisti e artiste, molte sono le donne, se ne sono occupati. Lisetta Carmi è entrata a far parte della mia collezione quando ancora nessuno la conosceva e non perché raccontava il mondo dei travestiti. Altre grandi donne sono Zoe Leonard, Nan Goldin e Roni Horn, le cui opere fanno parte delle recenti acquisizioni, accanto a quelle di Sonia Boyce e Ser Serpas esposte per la prima volta in quest’occasione. Un’artista che ho adorato e che adesso purtroppo si trova in difficoltà è Jana Sterbak. Tanti gli autori concettuali tra i quali Philippe Parreno, di cui in mostra c’è l’opera «Speech Bubbles (silver)» del 2009, che considero un amico geniale.

Come ha scelto il titolo della mostra?
È un titolo carpito da Virginia Woolf: rende molto bene l’idea di questa collezione, allude al rapporto invisibile tra le opere e il collezionista. Questo in fondo è il vero tema della mostra: la visione della vita e del mondo del collezionista attraverso le opere che ha scelto.

«Javier» (1985) di Robert Mapplethorpe. © Robert Mapplethorpe Foundation

Camilla Bertoni, 26 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

La collezione Righi secondo Enea Righi | Camilla Bertoni

La collezione Righi secondo Enea Righi | Camilla Bertoni