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La monaca di Monza esce dal convento
- Ada Masoero
- 01 ottobre 2016
- 00’minuti di lettura
Il suo nome era Marianna de Leyva e apparteneva a una famiglia dell’aristocrazia spagnola che dominava Milano tra Cinque e Seicento. Quando poi, per imposizione della famiglia, entrò nel convento di Santa Margherita a Monza, prese il nome di suor Maria Virginia, ma è passata alla storia come «la Monaca di Monza», grazie al ritratto che Alessandro Manzoni ne fece ne I promessi sposi. Nominata dal potentissimo padre contessa di Monza, e detta perciò «la Signora», amministrò con saggezza la città ma, forzata alla vita religiosa senza vocazione, fu facile preda del giovane Gian Paolo Osio, che la sedusse (chi non ricorda il fulminante commento manzoniano «la sventurata rispose»?) e condivise con lei più d’un delitto. Solo dopo il processo ecclesiastico cui fu sottoposta, Marianna visse un’autentica conversione e una «verace penitenza».
La Villa Reale di Monza dedica alla sua figura una mostra ricca di dipinti dei maggiori musei lombardi, incisioni, fotografie, video e documenti che, in un percorso immersivo, ne rileggono la vicenda umana e letteraria. Curata da Simona Bartolena e Lorenza Tonani, promossa dal Consorzio Villa e Parco Reale di Monza e prodotta da ViDi con Fondazione Gaiani e Comune, la mostra «La monaca di Monza» (dal 1 ottobre al 19 febbraio 2017) rilegge anche il processo che la ridusse a «murata viva» e ripropone il tema, diffuso in passato, della monacazione forzata.