Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Le fotografie di Guido Guidi (Cesena, 1941) parlano con una voce sommessa ma ferma, non certo fievole. Sono immagini che rifiutano le lusinghe della spettacolarità ma scelgono, al contrario, di raccontare paesaggi, architetture e oggetti umili e feriali, ai quali il suo sguardo sa però conferire una poesia inaspettata: scorci senza lusinghe e cose che non noteremmo nemmeno se non fossero i suoi scatti a sottoporceli sotto una luce che li rende, non si sa come, emozionanti.
Nel curare la sua personale per 10 Corso Como, Alessandro Rabottini si è spinto anche oltre e, all’interno della poetica del silenzio e dell’ordinario praticata da Guidi, ha puntato sull’ombra, la realtà più labile (ma al tempo stesso fortemente simbolica) che esista. Intitolata «Da un’altra parte» e presentata dal 7 maggio al 27 luglio negli spazi rinnovati dello storico e fascinoso spazio milanese dove s’intrecciano arte, fotografia, design, moda selezionatissima, libri e ottimo cibo (la prova che arte e cultura possono riqualificare un quartiere prima dimenticato e farne un polo d’attrazione internazionale, ben più di una, spesso sedicente, «riqualificazione»), la mostra non presenta dunque le serie fotografiche in cui Guidi usa comporre le sue immagini, ma sceglie una per una solo le fotografie che hanno a che fare con l’ombra e le mette in dialogo secondo un modello basato sulla tensione poetica e formale che s’instaura fra l’una e l’altra. «Quello che le accomuna, spiega limpidamente Rabottini, è la presenza di un’ombra o di un riflesso di luce, il transito di un bagliore o la mobilità del buio, all’interno di una narrazione che ripercorre differenti fasi della sua ricerca fotografica rintracciando in esse alcune costanti: l’indagine materiale sulla transitorietà del tempo, il paradosso di un’immagine che contenga quasi il nulla, la manifestazione estetica del vuoto e l’idea della fotografia come arte intimamente connessa al trascorrere delle cose».
Rare le presenze umane, e comunque non identificabili: l’interlocutrice più amata per Guidi è, infatti, l’architettura (non a caso il suo primo maestro è stato Carlo Scarpa, e proprio al suo ultimo capolavoro, il severo, scabro e poetico «Memoriale Brion» oggi del Fai, a San Vito d’Altivole nella campagna trevigiana, Guidi ha dedicato un indimenticabile ciclo di fotografie). Ma può essere anche la sabbia, su cui il vento sposta qualcosa di abbandonato, o l’asfalto di una strada, o una targa stradale sbreccata o, ancora, una finestra aperta sul nulla, come nella serie «Ronta 11/08/1999», scattata dalla sua casa-studio in quel borgo del Cesenate: immagini che sono riflessioni sugli statuti della fotografia e sull’atto stesso del fotografare, che hanno fatto di lui uno dei veri maestri della fotografia del nostro tempo e gli hanno aperto le porte dei maggiori musei internazionali.

Guido Guidi, «Ronta 11/08/1999». Courtesy the artist; Viasaterna, Milano; © Guido Guidi