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Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliUna qualità dell’arte è di riuscire a restituire le sfumature del reale, sottraendosi alla semplificazione del bianco e nero. È così che, oggi come ieri, le espressioni creative sono in grado meglio di altri mezzi di raccontare la complessità dell’identità sessuale e di genere. Il passato lo racconta una mostra unica nel suo genere, in programma da Wrightwood 659, a Chicago, dal 2 maggio al 26 luglio. Con più di 300 opere di oltre 125 artisti provenienti da 40 Paesi, «The First Homosexuals: The Birth of a New Identity, 1869-1939» racconta la storia di un cambiamento culturale e sociale dalle profonde conseguenze, quello che seguì la diffusione del termine «omosessuale».
La mostra fa risalire l’invenzione del termine, e di conseguenza del concetto, al 1869. A usare per primo la parola fu un autore ungherese che, dopo essere stato testimone delle persecuzioni della polizia nei confronti di un amico le cui preferenze sessuali erano per gli uomini, iniziò una battaglia per i diritti gay ante litteram, contestando la legittimità della legge contro la sodomia. Prima di allora l’attività sessuale con persone del proprio genere non era vista come qualcosa che definiva la persona: era un atto, non un fattore identitario.

Alice Austen, «The Darned Club», 1891, Collection of Historic Richmond Town
È stata l’invenzione del termine, questa la teoria da cui parte la mostra, a creare una nuova categoria umana e sociale, trasformando in modo essenziale la percezione pubblica su questo tema. Per questa mostra, un team internazionale di 22 studiosi guidati da Jonathan D. Katz, pioniere degli studi queer nell’arte, ha voluto trovare nella storia dell’arte le tracce di quel cambiamento di percezione e gli embrioni della moderna identità gay. Negli spazi della galleria progettata da Tadao Ando e da sempre orientata all’arte di impegno sociale, sono raccolte opere in prestito da istituzioni come il Musée d’Orsay di Parigi, la Tate di Londra e il Metropolitan Museum of Art di New York, alcune delle quali non hanno mai viaggiato prima. Insieme, le opere raccontano gli albori dell’idea di omosessualità, esplorando alcune delle prime rappresentazioni artistiche di scelte sessuali che, loro malgrado, diventavano identità. In mostra sono così esposti alcuni dei primi esempi iconografici conosciuti, come la prima rappresentazione nota di una coppia omosessuale nella storia dell’arte europea e le prime rappresentazioni moderne di persone trans.
Mentre alcuni degli artisti scelti erano apertamente omosessuali, come nel caso di Elisàr von Kupffer o di Tamara de Lempicka, la cui bisessualità fece scandalo, altri nomi non erano stati finora associati a questo tema. Questa mostra mette il loro lavoro sotto una lente nuova, invitandoci a ripensare quello che sappiamo non solo sull’omosessualità, ma anche sulla storia dell’arte e sulle narrazioni che con questa sono state tramandate. Attraverso il percorso espositivo, le opere mostrano così come l’arte sia stata un potente strumento per esprimere le complessità dell’identità, in un momento in cui questa stessa identità si stava formando, proprio mentre la società si andava irrigidendo sulla polarità dei binarismi.

Tamara de Lempicka, «Nu assis de profil», 1923, Potsdam, Döpfner Collection