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Il Museo Novecento celebra il rapporto tra lo scultore veneto e la Toscana
- Laura Lombardi
- 14 luglio 2021
- 00’minuti di lettura


Arturo Martini, «Pisana», 1933. Collezione Alberto della Ragione
Le passioni fiorentine di Martini
Il Museo Novecento celebra il rapporto tra lo scultore veneto e la Toscana
- Laura Lombardi
- 14 luglio 2021
- 00’minuti di lettura

Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliPer il ciclo «Solo», questa volta il Museo Novecento ha scelto «Arturo Martini e Firenze» (dal 15 luglio al 14 novembre), a cura di Lucia Mannini con Eva Francioli e Stefania Rispoli. Un nucleo importante di opere dell’artista, sculture di grandi dimensioni tra cui la «Pisana» (1933 ca) ma anche «L’attesa» (1935) o il «Leone di Monterosso», e alcuni nudini in terracotta fanno infatti parte della collezione, permanente al museo, di Alberto Della Ragione.
A queste opere se ne aggiungono però altre che ricostruiscono i legami di Martini con la città toscana dove egli giunge nel 1922, quando partecipa all’esposizione «Fiorentina Primaverile», ideata e organizzata da Sem Benelli ed è presentato da Alberto Savinio agli artisti del gruppo «Valori Plastici».
Nel ’32 sarà di nuovo a Firenze, dopo il successo alla Biennale di Venezia, per la doppia personale, insieme a Primo Conti, alla Galleria Bellini, in Palazzo Spini Feroni. Mostra che portò le sue opere in varie collezioni cittadine, come la Valli (da cui proviene «Testa di ebrea», da Ca’ Pesaro) e quella del musicista Mario Castelnuovo Tedesco (in mostra «Ofelia», dagli Stati Uniti).
Vi sono poi alcuni inediti, tra cui l’«Aratura» da una raccolta privata e la scultura in gesso, che si credeva dispersa, un tempo a Villa Fasola. L’amicizia che lega Martini a Roberto Papi, genero dei Contini Bonaccossi, è tramite per l’acquisto di quattro opere per Villa Vittoria.
Il rapporto tra Martini, Carrara e le Alpi Apuane, dove si reca nel 1937 per «La Giustizia corporativa», destinato al Palazzo di Giustizia di Milano, è evocato dal bassorilievo di «Donna che nuota sott’acqua», fissata su tre perni metallici ideati da Carlo Scarpa, per essere esposta alla Biennale di Venezia del 1942.
Una scultura enigmatica per il taglio della testa operato in fase di rifinitura e che coincide con l’inizio di un temporaneo abbandono della scultura per dedicarsi alla pittura: in mostra è il dipinto «Cave di marmo».

Arturo Martini, «Pisana», 1933. Collezione Alberto della Ragione