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Con la rivalutazione, ormai consolidata, di quell’arte simbolista che scaturì dalla nuovissima corrente di pensiero fiorita alla fine dell’800 nell’intera Europa come reazione allo scientismo positivista, la figura di Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 1859-La Loggia, 1933), che ne fu un esponente di primo piano in scultura, torna meritatamente in luce.
Famosissimo ai suoi tempi (partecipò a cinque Biennali di Venezia) e molto influente anche fuori dall’Italia, tanto che si coniò la definizione di «bistolfismo», dopo la formazione all’Accademia di Brera a Milano e all’Albertina di Torino, Bistolfi si avvicinò brevemente al clima della Scapigliatura milanese, per volgersi poi al Simbolismo, così consonante alla sua indole, che non avrebbe più abbandonato, sia pure aggiornandone costantemente i modi.
Alla sua lunga stagione simbolista la Galleria Silva di Milano (via Borgospesso 12) dedica, dal 20 ottobre al 18 novembre, la mostra «Leonardo Bistolfi. Simbolista visionario» (catalogo a cura di Armando Audoli), che riunisce opere degli anni tra il 1899 e il 1925: si può così seguire l’evoluzione del suo lavoro, a partire da quella che è forse la sua scultura più famosa, quella «Bellezza liberata dalla materia», 1899-1906, che concepì per l’amico Giovanni Segantini, morto prematuramente nel 1899.
L'Alpe o Bistolfi
Della grandiosa figura femminile che sembra affiorare dal blocco di marmo, quasi fosse un «Prigione» di Michelangelo, destinata alla tomba del grande pittore a Maloja ma oggi al Museo Segantini a Saint Moritz, è esposto qui il gesso della testa (detta «L’Alpe», in omaggio alla passione per la montagna di Segantini: una versione di marmo è alla Gam di Milano), un’opera di grande suggestione, al pari della testa della «Morte», in gesso anch’essa, del Monumento funerario Abegg, 1912-1913, del cimitero di Zurigo.
In un’epoca in cui la scultura funeraria era in grande auge, le famiglie europee più prestigiose si contendevano infatti i monumenti funebri di Bistolfi (magnifica la sua Edicola Toscanini, realizzata tra il 1909 e il 1911 nel Cimitero Monumentale di Milano per il grande direttore d’orchestra): in mostra ci s’imbatte così anche in una rara versione in terracotta della «Croce Brayda», creata nel 1901 per la tomba di quella famiglia, ma a Bistolfi certo non mancavano le commissioni pubbliche, qui documentate dal toccante bassorilievo in gesso della «Culla» per il monumento-ossario «La Patria», 1906, commemorativo della battaglia del 1706 a Madonna di Campagna, Torino.
Infine, insieme ai gessi di targhe, medaglie, monete, c’è il marmo, esibito ora per la prima volta, «La Volontà o L’Industria», 1925 circa (dalla collezione di un’importante famiglia che fu vicina a Bistolfi), i cui panneggi magistrali lasciano ampiamente scoperto il busto e il ventre, turgidi e opulenti, della figura allegorica, così lontana dalle esangui figure degli anni prebellici.