C’è un filo conduttore che accomuna il nuovo concept di 10 Corso Como, l’iconica realtà milanese fondata nel 1991 dalla redattrice e gallerista Carla Sozzani e dal 2021 reinventata dall’imprenditrice Tiziana Fausti, e la personale di Talia Chetrit (Washington, 1982) qui in arrivo dal 18 settembre. Se da un lato la riapertura del negozio meneghino vede l’area donna trasformarsi in «una macchina teatrale» la cui estetica accresce ulteriormente l’essenza interattiva della Project Room e della Galleria a essa adiacenti al piano terra, dall’altro, il lavoro della fotografa statunitense ha tutto a che fare con i meccanismi inerenti al medium da lei prediletto, la macchina fotografica.
Cosa significa guardare attraverso l’obiettivo e come ci si sente a posare davanti a esso sono solo due dei quesiti affrontati da Chetrit, la quale concepisce la sua pratica come «un esercizio» che le consente di fare luce sulle «implicazioni formali dell'inquadrare e delle dinamiche psicologiche messe in atto nel diventare soggetto di un’immagine». Un approccio, questo, che trapela nelle sue immagini, perennemente in bilico tra l’estetico e il performativo, il posato e lo spontaneo.
A cura di Alessandro Rabottini e Anna Castelli, in apertura durante la settimana della moda, la mostra raccoglie opere realizzate tra il 1994 e il 2023 nella più ampia retrospettiva mai realizzata fino a oggi sul lavoro dell’artista. Conosciuta per le sue nature morte, tanto eleganti quanto ipnotiche, Chetrit non si ferma lì, ma fa suo il linguaggio fotografico degli altri rami della disciplina con una destrezza e un coraggio che ne rompono gli schemi. Che si tratti di autoritratti, spezzoni di vita familiare, o «street photography», i suoi sono scatti che non passano inosservati, ma catturano per la fragilità che, nonostante le apparenze, ne anima i soggetti.
Così come il nuovo store di 10 Corso Como si fa «ingranaggio industriale capace di trasformarsi in modo fluido, riconfigurando la sua identità e adattandosi organicamente alla varietà di esperienze ed eventi che accoglie», anche lo sguardo di Chetrit evolve costantemente, non lasciando nulla al caso. Dalla rappresentazione del corpo e dell’esperienza femminile alla sessualità e alle relazioni, la fotografa americana rifugge dai tabù raccontando la vita in maniera sì complessa, ma altrettanto poetica e provocatoria.
Realizzata sulla scia della personale dedicata al distopico oeuvre di Roe Ethridge nel febbraio di quest’anno, e in visione fino al 17 novembre, la mostra «prosegue una riflessione su come i linguaggi dell’arte e della fotografia, in dialogo con la moda, ci permettano di osservare le contraddizioni del nostro tempo, raccontano gli organizzatori, interrogandoci su cosa siano la bellezza, le seduzioni del commercio e le regole della rappresentazione».