«Natura morta» (1960) di Giorgio Morandi

Foto: Alvise Aspesi. Cortesia della Collezione Augusto e Francesca Giovanardi, Milano

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«Natura morta» (1960) di Giorgio Morandi

Foto: Alvise Aspesi. Cortesia della Collezione Augusto e Francesca Giovanardi, Milano

Mattia De Luca porta a New York 70 Morandi

I lavori del pittore bolognese, provenienti da varie collezioni, sono esposti negli ambienti di una palazzina ottocentesca all’East 63rd Street di Fifth Avenue. Ne parla la curatrice Marilena Pasquali

Chiuso nel suo mondo di poche povere cose, Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) indagò l’essenza del reale e la trovò nel «tempo sospeso»: «Giorgio Morandi-Time suspended II» è il titolo della mostra antologica di 70 opere, che si svolge a New York dal 26 settembre al 27 novembre, per la cura di Marilena Pasquali, fondatrice del Museo Morandi di Bologna e del Centro Studi Giorgio Morandi, e del gallerista Mattia De LucaMorandi è l’artista che mi ha avvicinato all’arte. Fui folgorato da una “Natura morta” della collezione Giovanardi, che ora avremo in mostra a New York»). È il secondo atto di una mostra tenuta nella Galleria Mattia De Luca di Roma nel 2022. Nuovi lavori, provenienti da varie collezioni, tra cui appunto la Giovanardi, sono esposti negli ambienti di una palazzina ottocentesca all’East 63rd Street di Fifth Avenue, quale temporanea appendice della galleria romana, sita nel cinquecentesco Palazzo Albertoni Spinola. 

«La mostra è il risultato di un intenso lavoro che ho portato avanti negli anni, volto ad alimentare l’interesse anche di mercato per l’opera dell’artista, precisa Mattia De Luca. Gli esiti sono molto soddisfacenti, perché Morandi non ha un mercato vasto, i suoi collezionisti sono pochi, ma tutti molto raffinati. È un collezionismo d’élite, fatto non per investimento, ma per amore». In mostra, sfila il microcosmo silente del maestro bolognese, dispiegato in dipinti, incisioni e acquerelli: nature morte di brocche e bottiglie, fiori in vaso, essenziali paesaggi. Nel catalogo, edito da Allemandi, Marilena Pasquali affronta proprio il tema del rapporto dell’America con Morandi. «Sembrerà strano, ci racconta, ma Morandi all’America ci teneva, e in genere alla circolazione internazionale delle sue opere. L’Italia, a partire dal secondo dopoguerra, non gli interessava più. E l’America rispose. Sue opere vennero collezionate da Rockefeller, Rauschenberg, Paul Mellon, Curt Valentin, altre sono nelle collezioni del MoMA e della National Gallery of Art di Washington. Da quest’ultimo museo, provengono le due Nature morte di Morandi che gli Obama scelsero nel 2009 per adornare la loro residenza alla Casa Bianca. Furono molti i direttori di museo o studiosi americani accolti da Morandi in via Fondazza. Tra questi, a pochi mesi dalla morte dell’artista, nel ’64, John Rewald. Morandi era molto sofferente, non voleva nessuno, ma quando seppe, tramite il regista Valerio Zurlini, che il maggior studioso dell’amatissimo Cézanne voleva incontrarlo, lo accolse. Adepti del culto morandiano furono e sono anche molti artisti americani, da Jim Dine a Lawrence Carrol».

Marilena Pasquali

Una mostra meditativa in una stagione drammatica come la nostra, ha un significato in più?
Sì, perché ispirarsi al tempo sospeso è un modo di mettere il mondo tra parentesi, farne parte ma con distacco. Non è una fuga, ma un modo per conservare la mente lucida. Morandi odiava la guerra. Ne aveva subite due, somatizzando la violenza fino ad ammalarsene, nella prima guerra anche molto gravemente.

La celerità è la prima qualità del mondo d’oggi: come collocarvi le calme visioni d’oggetti e natura di Morandi?
Ci stanno benissimo, proprio perché sono l’opposto. In un mondo che sta rotolando giù, rappresentano un’ancora di salvezza, una via d’uscita. Nel nostro mondo disgregato e senza centro, la capacità di Morandi di trasformare l’umile realtà in poesia può essere una guida.

Lei è la maggiore studiosa al mondo di Morandi: cos’è Morandi per lei?
Un compagno di strada, anzi di cammino, per citare la raccolta di saggi su Morandi di Cesare Brandi, Lungo il cammino. Io vedo ora la realtà attraverso i suoi occhi, ne scorgo la struttura essenziale, case e campagne non posso fare a meno di scrutarle con filtro «morandiano».

Fu uomo riservato e taciturno, che non amava parlare della sua pittura…
Passava i pomeriggi, dopo l’insegnamento in Accademia, nel suo studio, che era la sua stanza da letto, a osservare gli oggetti e le sue opere: non poteva estendere questo colloquio muto con altri, era roba sua. Non parlava, ma la sua arte arrivava al cuore di tutti. Goffredo Petrassi, nel ’41, per ringraziarlo del dono di un quadro, gli scrisse: «La sua pittura incarna l’ideale a cui tendo con la mia musica».

Fu laconico anche come docente di Incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna?
Non dava confidenze, ma era molto gentile con gli studenti, che non forzava mai verso uno stile specifico. Insegnava solo la tecnica e al momento di immergere una lastra nell’acido allo studente diceva: «Coraggio!».

Prossimi progetti morandiani?
Una sua biografia in 15 capitoli, dal titolo Morandi vivo e in uscita per Gli Ori a novembre o dicembre. Sono stata indotta a scriverla per fare piazza pulita dei tanti falsi aneddoti e bufale su Morandi, tutta una trama di invenzioni, figlie della leggenda Morandi e del suo mito, ma che non fanno bene alla comprensione della sua pittura. Nel libro illustro tutti gli aspetti della vita dell’uomo e dell’artista, dal suo rapporto con la grafica, con l’antico, con gli altri, sviscero il suo metodo e, per quanto possibile, il suo pensiero. Parlava poco della sua arte e ne scriveva ancora meno. Dal ricco carteggio ho estrapolato singoli riferimenti o espressioni sibilline, che adombrano la sua idea di arte.

«Natura morta» (1954) di Giorgio Morandi, collezione Privata, Italia. Foto: Daniele Molajoli

Anche a Mattia De Luca chiediamo: che cosa rappresenta Morandi per lei?
È l’artista che mi ha avvicinato all’arte, fui folgorato da una Natura morta della collezione Giovanardi, che ora avremo in mostra a New York. Morandi ti porta in un’altra dimensione, ti mette di fronte a te stesso e in contatto con parti della tua anima.

Perché una mostra in America?
La mostra è il risultato di un intenso lavoro che ho portato avanti negli anni, volto ad alimentare l’interesse anche di mercato per l’opera dell’artista. Gli esiti sono molto soddisfacenti, perché Morandi non ha un mercato vasto, i suoi collezionisti sono pochi, ma tutti molto raffinati. È un collezionismo d’élite, fatto non per investimento, ma per amore.

Guglielmo Gigliotti, 24 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Mattia De Luca porta a New York 70 Morandi | Guglielmo Gigliotti

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