Questa è una storia che inizia nel 1964, un anno importante per Bari, conosciuta, in pieno boom economico, come la «Milano del Sud» grazie a profonde trasformazioni della città dovute a importanti figure di progettisti, formatisi oltreoceano, quali: Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano. Eventi favoriti dall’azione politica condotta da Aldo Moro che, un anno prima, aveva iniziato il suo primo mandato come Presidente del Consiglio alla guida di un governo di centro-sinistra. Sempre in quell’anno, a Bari si celebrava il ventennale del congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, aperto nel gennaio del 1944 al teatro Piccinni da Benedetto Croce. Si aggiunga che, nel novembre del 1964, presso l’Ateneo, fondato quarant’anni prima e intitolato inevitabilmente al Duce, incominciarono a tenersi un ciclo di conferenze su Michelangelo (1475-1564), a cura dello storico dell’arte e archeologo Adriano Prandi, connesse alle celebrazioni per il IV centenario della morte dell’artista, osannato durante il regime come la massima espressione del «genio italico», emblema dell’egemonia culturale italiana.
Ancora al 1964 risale, presso la Pinacoteca Provinciale di Bari, l’importante «Mostra dell’Arte in Puglia dal Tardo Antico al Rococò», affidata a un giovane assistente di Prandi, Michele D’Elia, futuro direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma.
Nell’ambito di tali connessioni, si inserisce la presenza dello storico dell’arte e normalista Carlo Ludovico Ragghianti (1910-87), figura centrale del Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) toscano, chiamato da Prandi a presentare il suo critofilm (termine coniato da Ragghianti per indicare una particolare categoria di film/documentario incentrato sull’analisi dettagliata e critica di opere d’arte, proposta in veste «dinamica» attraverso l’uso della cinepresa e del linguaggio cinematografico, Ndr), «Michelangiolo», appena proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia, la stessa dove Pier Paolo Pasolini era stato premiato col Leone d’argento per «Il Vangelo secondo Matteo».
La mostra «Michelangelo antifascista a Bari (1964-1965). Il “non finito” di Adriano Prandi e il critofilm di Carlo Ludovico Ragghianti nel IV centenario della scomparsa del Buonarroti» (fino al 30 maggio, catalogo Edipuglia), curata da Andrea Leonardi, in partnership con la Fondazione Ragghianti (Lucca), negli spazi della restaurata Biblioteca di Storia dell’Arte nel Palazzo degli Studi di Bari, racconta e documenta quel tempo e quel fervore culturale generato intorno all’Istituto di Storia dell’Arte e Archeologia. L’allestimento, che ha una doppia natura, fisica e virtuale (è fruibile online ma anche in situ attraverso visori 3D), rievoca quei fatti michelangioleschi attraverso il critofilm di Ragghianti, ovvero, per usare la definizione dello stesso, «critica d’arte esercitata mediante il linguaggio cinematografico». «Michelangiolo», proiettato la prima volta al Teatro Kursaal Santalucia, fu l’ultimo critofilm di Ragghianti e rappresentava una riflessione sulla modernità del Buonarroti, enfatizzando temi come il «non finito», simbolo di libertà creativa e critica sociale. La mostra si avvale di tecnologie immersive e interattive, come percorsi virtuali e strumenti di storytelling digitale, che arricchiscono l’esperienza del visitatore. Sono esposti materiali storici, incluse antiche lastre fotografiche e documenti originali, che dialogano con un catalogo multimediale, vero e proprio ipertesto, arricchito da contributi accademici accessibili anche tramite Qr code. L’iniziativa coinvolge attivamente studenti e studiosi, proponendo un approccio inclusivo e interdisciplinare per reinterpretare la figura di Michelangelo in chiave contemporanea e sociale.
La mostra, soprattutto per l’utilizzo della parola «antifascista» nel titolo, ha suscitato un acceso dibattito di una parte della critica, che ha trovato l’accostamento pretestuoso e strumentale, non intuendo probabilmente il senso profondo del progetto. Resta il fatto, al di là di tutto, che la mostra è un’interessante opportunità per riscoprire, attraverso la memoria storica e gli strumenti contemporanei, il valore civile e democratico del patrimonio culturale.