«Atalanta e Ippomene» (1622 -23) di Guido Reni, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

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«Atalanta e Ippomene» (1622 -23) di Guido Reni, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Nel Seicento la pittura felsinea trovava ispirazione nella poesia

Nella Pinacoteca Nazionale del capoluogo emiliano è illustrato il legame tra i maestri bolognesi, Guido Reni, Artemisia Gentileschi, Ludovico Carracci e i letterati dell’epoca da Marino a Malvasia

Dal 16 novembre al 16 febbraio 2025 la Pinacoteca Nazionale di Bologna ospita «La favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti», a cura di Giulia Iseppi, Raffaella Morselli e Maria Luisa Pacelli (che dal primo novembre non è più la direttrice del museo, sostituita ad interim da Costantino D’Orazio, da dieci mesi alla guida dei Musei nazionali di Perugia-Direzione regionale Musei nazionali dell’Umbria, Ndr). Il cuore della mostra sono le opere di Guido Reni (1575-1642) in «dialogo» con altri dipinti, incisioni e volumi a stampa con il fine di porre l’accento sullo stretto rapporto esistente tra i maestri della pittura felsinea seicentesca, Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Agostino e Ludovico Carracci in primis, e letterati dell’epoca, come Giovan Battista Marino, Cesare Rinaldi e Andrea Barbazza. Nell’ambito della rassegna, inoltre, il 20-22 novembre il convegno internazionale «Malvasia. Storia e teoria delle Arti nella Bologna del Seicento» celebra la figura del primo storiografo dell’arte bolognese, Carlo Cesare Malvasia (1616-93), autore della Felsina Pittrice. Vite dei pittori bolognesi (1678).

Dottoressa Pacelli, qual è il legame tra Reni e la poesia?
È un rapporto strettissimo che nasce nelle accademie letterarie, molto diffuse tra Cinque e Seicento, a Bologna come Roma. In tale contesto Reni aveva radicati rapporti di amicizia e interessi convergenti con i poeti, legati alla promozione delle loro produzioni e carriere. Molti letterati erano suoi collezionisti e sovente fungevano da intermediari con i committenti, ma ciò che impressiona nel caso di Guido è la precocità e la mole della produzione encomiastica in suo favore, la cui diffusione e risonanza ne determinò una vasta e immediata fortuna. Sebbene questo genere di relazioni e scambi avessero riguardato anche altri pittori bolognesi, i Carracci in primis, è infatti con colui che Giovan Battista Marino (1569-1625) definì «il divin pittore» che il fenomeno assume proporzioni eccezionali, come emerge dagli importanti e innovativi studi di Iseppi e Morselli.

E i legami tra altri artisti e poeti contemporanei?
All’epoca i poeti a Bologna sono divisi tra l’esempio di Tasso, su cui si sono formati, e le novità introdotte da Marino, con cui condividono soprattutto l’interesse per la pittura e la sua traduzione in versi attraverso la descrizione ekfrastica, per cui la parola poetica si fa effettivamente espressione del dialogo tra artista e letterato. Detto di Reni e Marino lungo il percorso risulta chiaro il rapporto dall’accostamento di dipinti di Carracci, Artemisia e Lavinia Fontana ai componimenti che gli dedicarono Cesare Rinaldi, Andrea Barbazza e altri poeti coevi. Da questo punto di vista, è importante sottolineare la novità dell’approccio proposto in questa mostra e nel relativo catalogo: la produzione poetica è stata trattata come fonte dal cui scandaglio sono emerse novità importanti relative a committenza, soggetto, data di esecuzione dell’opera.

Com’è organizzato il percorso in mostra?
Come per le altre mostre sotto la mia direzione in Pinacoteca, anche questa è incentrata sullo studio del patrimonio del museo, con il duplice intento di approfondirne e divulgarne la conoscenza, coniugando rigore scientifico e capacità di parlare a pubblici eterogenei. Iniziamo con un’introduzione della scena artistica e letteraria bolognese, illustrando l’Accademia dei Gelati e il ruolo giocato da Agostino Carracci, celebrato alla sua morte nel 1603 come esempio di pittore intellettuale, la cui eredità passerà a Guido. La seconda sezione è dedicata alle «Pitture dei letterati» che in alcuni casi furono grandi collezionisti e ai componimenti che dedicarono alle opere di loro proprietà. Vi è ad esempio un ritratto dipinto da Artemisia assieme alla fonte che ha permesso di individuarne l’effigiato nel poeta Andrea Barbazzi, la cui ricca quadreria conteneva la «Iole» di Ludovico Carracci, anch’essa in mostra. La terza sezione estende lo sguardo al di là dei confini bolognesi, analizzando le accademie romane. Infine, la quarta sezione è dedicata in esclusiva a Guido e mette in relazione uno dei capolavori assoluti dell’artista conservato in Pinacoteca, la «Strage degli innocenti», con i versi che gli dedicò Marino ne La Galeria: indaghiamo la celebre quanto misteriosa serie di opere che il pittore dedica ad Atalanta ed Ippomene, riconducendone la creazione al fervido ambiente intellettuale delle accademie. Nella mostra sono presenti i due celebri dipinti con questo soggetto del Museo di Capodimonte e del Museo del Prado, ma l’intenzione è di dedicare una giornata di studi alla serie, che includa anche due versioni del soggetto emerse di recente.

Un appuntamento importante legato alla mostra è il convegno su Malvasia.
Fu una personalità di primo piano nella vita culturale della Bologna del XVII secolo, nonché primo e principale biografo e ammiratore di Guido Reni. La rilevanza del personaggio che fu docente di diritto, prelato, collezionista e storico oltre che storico dell’arte, risiede nel fatto che fu il primo a delineare consapevolmente i caratteri della scuola bolognese con Felsina pittrice, ancora oggi fondamentale per chiunque studi questo periodo artistico. Si alterneranno 19 relatori, partendo da una lectio magistralis di Elizabeth Cropper.

«Strade degli Innocenti» (1611) di Guido Reni, Bologna, Pinacoteca Nazionale

Stefano Luppi, 14 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

Nel Seicento la pittura felsinea trovava ispirazione nella poesia | Stefano Luppi

Nel Seicento la pittura felsinea trovava ispirazione nella poesia | Stefano Luppi