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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliDisperare? Meglio pensare e agire. In un momento storico in cui la tentazione dello sconforto sembra inevitabile, Michaela Yearwood-Dan sceglie la strada indicata dalla scrittrice statunitense Toni Morrison: trasformare la ferita in visione. «No Time for Despair», mostra ospitata nella sede londinese di Hauser & Wirth dal 13 maggio al 2 agosto, raccoglie questa eredità e la rilancia con il coraggio di un’artista che ha fatto della speranza una pratica creativa. Non un semplice invito, quindi, ma una vera e propria dichiarazione di intenti. Tra tele che vanno dal monumentale all’intimo, tra sculture e panchine in ceramica ornate di dettagli e un paesaggio a pannelli lungo undici metri, l’artista intreccia linguaggi diversi per dare forma a un universo in cui femminilità e comunità queer trovano spazio e voce.
Le opere di Yearwood-Dan catturano subito lo sguardo. Colori saturi, texture dense, materiali inaspettati: ceramica, paillettes, cristalli e foglia d’oro. Non sono «semplici» decorazioni. Ogni elemento ha un peso preciso, un significato. La ceramica, ad esempio, richiama pratiche storicamente considerate «femminili» e relegate ai margini della «grande arte», che qui, però, si riappropriano della scena. Perché modellare argilla è plasmare possibilità. Affrontare fragilità e imprevedibilità. La gravità, il calore, l’equilibrio trasformano la materia. Come accade per l’identità che – mai fissa ma fluida, è aperta a mutazioni. «Il femminile è costantemente oggetto di dibattito nella nostra società attuale. Per me – afferma l’artista – è la sua fluidità e assertività, e il suo caos. È l’occupare spazio o lasciare che qualcosa sia un’estensione di sé. Se mi considero femminile nei miei modi che sono maschili, e nei miei modi che sono femminili, o assertiva, morbida e forte e tutte queste cose, allora, per estensione, l’opera dovrebbe esserlo. È una giusta rappresentazione di me come artista».
A questa dimensione materiale se ne intreccia un’altra, fatta di stratificazioni visive. Il collage, parte integrante della ricerca di Yearwood-Dan, che non cancella, ma aggiunge. Ogni dettaglio rimane e diventa fondamentale. Petali di garofani e violette entrano nelle tele e nelle sculture. Non solo ornamenti floreali, ma simboli di memoria queer, di affetti taciuti, di codici segreti che attraversavano le comunità LGBTQIA+ in epoche di censura e clandestinità. Sono anche emblemi di memoria nera: resilienza, bellezza, radici culturali che si tramandano. In questo intreccio la botanica diventa politica, diventa strumento di narrazione e riappropriazione. «Si parla spesso di riferimenti floreali nel mio lavoro, ma finché non ho introdotto i petali in ceramica, non c’erano mai fiori veri e propri».

Michaela Yearwood-Dan, «B-Side #1», 2025. Foto credits: Deniz Guzel. Courtesy l'artista, Hauser & Wirth and Marianne Boesky Gallery.
Ed è proprio dall’accumulo di materiali e simboli che si passa a una dimensione più ampia. Perché la pittura è solo una parte. Le installazioni coinvolgono fisicamente il visitatore. Abbattendo la quarta parete, Yearwood-Dan invita a muoversi, sedersi, sostare. Picasso aveva già aperto la strada: «Les Demoiselles d’Avignon» destabilizzano la percezione frontale dello spettatore, introducendo una visione dinamica del tempo e dello spazio – in linea con lo «slancio vitale» teorizzato da Bergson. Con le sue opere «a muro», che inglobano oggetti reali, Picasso ha rotto poi definitivamente la barriera tra quadro e ambiente. Yearwood-Dan riprende questa eredità, ma la espande, concettualmente: panche e piedistalli non sono solo supporti, sono parti dell’opera. Invitano a condividere lo spazio, a trasformare la fruizione in un gesto collettivo.
In questo modo l’ambiente espositivo diventa ecosistema artistico. Non più neutro, non più sfondo. Colori, materiali e forme dialogano in un ambiente multisensoriale in cui il pubblico diventa parte integrante. Sedersi, osservare, ascoltare diventa già interpretare. I paesaggi astratti e i motivi botanici portano dentro la natura come linguaggio visivo. Qui il richiamo a Monet è evidente: le sue «Ninfee» non sono semplici «impressioni», ma passaggi verso l’astrazione che – come ricorda anche Barbara Meletto – mostrano una «forza che trascende l’Impressionismo stesso verso approdi di visionarietà astrattista». Forme e colori si liberano. Annunciano una pittura che supera la rappresentazione per diventare atmosfera, esperienza. Yearwood-Dan raccoglie questa eredità e la traduce in chiave contemporanea: ambienti concettuali, e al tempo stesso fisici, dove la natura si mescola a testi diaristici, frammenti di canzoni o poesie. L’opera non è mai solo visiva, è un intreccio di linguaggio e immaginario botanico che si muove tra gioco, paradosso e contemplazione.

Installation views Michaela Yearwood-Dan «No Time for Despair», Hauser & Wirth London. Courtesy Hauser & Wirth.
In «Fxxk the opinions and all the logistics» (2025) e «We’ll be free (Someday)» (2025), ad esempio, il testo diventa parte del paesaggio pittorico. Un invito a entrare in mondi accoglienti ma complessi, pieni di contraddizioni vitali. Qui la natura diventa simbolo di identità, di appartenenza, di memoria culturale che si fonde con l’esperienza personale.
A completare le opere, il suono. La collaborazione con Alex Gruz introduce una dimensione immersiva: un paesaggio sonoro che si intreccia con quello visivo, ampliandone la portata. L’opera non si guarda soltanto, si ascolta, si attraversa. Un approccio che richiama — per analogia — la nozione wagneriana di Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, qui tradotta in un’esperienza contemporanea che intreccia pittura, scultura e suono. Il risultato è un percorso in cui controllo e imprevedibilità convivono. Pigmenti, argilla, texture sembrano avere una vita propria, ma tutto è orchestrato con equilibrio. E ne nasce uno spazio aperto, fatto di possibilità, dove identità, comunità e creatività si intrecciano senza confini prestabiliti. Come sintetizza il curatore Ekow Eshun: «Guardando il lavoro di Michaela, si ha la sensazione di “possibilità senza limiti”». Perché l’opera non si guarda. Si attraversa. Si abita. In un tempo in cui «non bisogna disperare, ma pensare e agire».

Michaela Yearwood-Dan, « Fxxk the opinions and all the logistics» (dettaglio), 2025. Foto credits: Deniz Guzel. Courtesy l'artista, Hauser & Wirth e Marianne Boesky Gallery.