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Fortunato Depero, «Somarelli siciliani», 1925-26

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Fortunato Depero, «Somarelli siciliani», 1925-26

Oltre il Futurismo: la vita segreta della Collezione Bocca

A Palazzo Cicogna, la mostra curata da Matteo Salamon fa rivivere l’intreccio di amicizie, passioni e capolavori che unì Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni ai protagonisti del Novecento, da Severini a Depero, da Pomodoro a Grosz

Lavinia Trivulzio

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Milano celebra la quinta edizione di «Gallerie a Palazzo» con una mostra che è insieme un omaggio, una riscoperta e un racconto intimo. «Oltre il Futurismo. Severini, Depero, Pomodoro e gli inediti di Grosz e Tadini dalla Collezione Bocca»– organizzata da Matteo Salamon Gallery negli spazi raffinati di Palazzo Cicogna, dall’11 novembre al 31 gennaio, restituisce alla città il fervore di una stagione dell’arte vissuta dentro le case, tra amicizie, passioni e curiosità intellettuali. Al centro, la collezione costruita nel tempo da Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni, coppia iconica del giornalismo e della cultura italiana. Un dialogo di opere e memorie che oggi, a un anno dalla scomparsa di Giacomoni, rivive nel percorso curato da Matteo Salamon, capace di trasformare la memoria privata in un itinerario pubblico di emozioni e scoperte.

Negli anni Sessanta, la casa di via Bagutta dei Bocca-Giacomoni era un luogo di incontro tra intellettuali e artisti: un salotto dove si ritrovavano Sandro Orsi, Philippe Daverio, Emilio Tadini, Tullio Pericoli e molti altri. In quegli spazi le opere si disponevano per affinità affettive più che museali: un Depero vicino a un Tadini, un Grosz comprato per innamoramento accanto a un Severini enigmatico. Questo spirito libero e vitale è il filo conduttore della mostra, che restituisce il senso del collezionare come vivere, come scelta di compagnia, di riflessione e di amore per la bellezza.

Tra i protagonisti spicca Fortunato Depero, con tre opere emblematiche del suo universo: il dinamismo teatrale dei «Balli Plastici» (1918), l’eroismo del «Gondoliere» (1924) e l’ironia ritmica dei «Somarelli Siciliani» (1925-26). Nei «Balli Plastici», la marionetta rossa che avanza sul fondale solcato da campiture di colore diventa metafora dell’energia vitale dell’arte, un’energia che prende corpo, letteralmente, nel progetto teatrale messo in scena a Roma nel 1918 con le musiche di Casella, Malipiero e Bartók. Depero, che di quell’esperienza fece un manifesto di libertà creativa, si dimostra qui perfettamente coerente con la sua visione di un’arte totale, capace di fondere gesto, colore e ritmo. Nel «Gondoliere», databile intorno al 1924 e proveniente dalla collezione di Rosetta Amadori, moglie dell’artista, il linguaggio futurista si fa allegoria esistenziale. Il barcaiolo che sfida la burrasca alla luce di un faro diventa simbolo di una lotta interiore, ma anche di un paese che, dopo la guerra, tenta di ritrovare la propria direzione. L’opera, acquistata da Giorgio Bocca dopo la morte di Amadori, vibra di tensione e poesia, con il mare viola e il cielo rosa che trasfigurano la fatica umana in mito moderno. Nei «Somarelli Siciliani», invece, l’artista trasforma la ripetizione in ritmo visivo e la fatica quotidiana in danza, raccontando, con ironia e tenerezza, un’Italia popolare e resiliente che si rialza dal dopoguerra. Gli asinelli, replicati come in un fotogramma cinematografico, incarnano quella «gioia del movimento» che Depero considerava la vera anima del Futurismo.

 

Gino Severini, «Ritratto di Madame Costa Torro», 1911

Piero Manzoni, «Senza titolo», 1957

Un dialogo altrettanto intenso si apre con Gino Severini e il suo «Ritratto di Madame Costa Torro» (1911), un pastello di luminosa eleganza che cattura la grazia di una donna della Belle époque, amica del pittore e proprietaria di una boutique a Montmartre. L’opera, proveniente dalla Collezione Bocca-Giacomoni dopo una lunga storia collezionistica tra Firenze, Parigi e Venezia, mostra Severini in un momento di transizione: il realismo mondano della Parigi di inizio secolo si tinge di vibrazioni futuriste, di quella tensione dinamica che attraversa la pelliccia, il décolleté, il cielo azzurro alle spalle. Nelle nervature del colore e nelle modulazioni della luce si percepisce la stessa energia che, l’anno precedente, aveva portato Severini a firmare con Boccioni il Manifesto dei pittori futuristi. È il ritratto di un mondo al tramonto, ma anche l’alba di una nuova visione dell’arte.

Il percorso si arricchisce con l’opera di Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles, figura eclettica e visionaria del primo Novecento. Il suo «Paesaggio spaziale» del 1914, acquerello dai toni pastello, rappresenta un universo in cui architettura e cosmo si fondono: due obelischi emergono tra linee circolari e pianeti sospesi, anticipando di anni le «linee andamentali» di Balla e le visioni metafisiche di De Chirico. Thayaht, noto anche per aver inventato la tuta come abito rivoluzionario, trasforma qui la pittura in un linguaggio di libertà, un’architettura di luce che guarda già al futuro.

Accanto ai protagonisti italiani del Futurismo, la mostra accoglie un capolavoro raro di George Grosz, «Studio di nudo (recto) – Caricature (verso)» del 1929. Sul fronte, una figura femminile distesa, sensuale e vulnerabile; sul retro, due volti grotteschi, deformati, colti in un’intesa ambigua. Il contrasto tra i due lati del foglio racconta con potenza la doppiezza della Berlino di fine anni Venti: il desiderio e la disillusione, l’erotismo e la critica sociale. Grosz, che in quegli anni sta per lasciare la Germania per New York, usa il disegno come lente deformante per svelare l’anima contraddittoria del suo tempo.

 

René Paresce, «Il sogno del marinaio», 1932

Nel percorso non manca lo sguardo poetico e intellettuale di René Paresce, con «Il sogno del marinaio» (1932), dipinto onirico e colto, testimonianza della raffinata cultura degli Italiens de Paris. Tra le opere più recenti, spicca un delicato «Senza titolo» del 1957 di Piero Manzoni, smalto e tempera su carta, dove una forma ovale blu sospesa in uno spazio vuoto rivela il passaggio dall’Informale allo Spazialismo. Manzoni, allora ventiquattrenne, elabora qui una sintesi tra introspezione psicologica e tensione verso l’assoluto, dichiarando l’opera come «zona di immagine», ovvero luogo dell’esperienza interiore.

A completare il percorso, Arnaldo Pomodoro con due bronzi dorati del 1985, tra cui la «Piramide», esempio della sua scultura capace di farsi luce e spazio – e i contributi di Bonalumi e Morlotti, che ampliano la riflessione sulla materia e sul colore nel dopoguerra. La collezione Bocca non è mai stata statica, viaggiava, si adattava, trovava nuove combinazioni di luce e spazio. Lo ricorda lo stesso Salamon: «Un po’ come la loro famiglia e la loro cerchia di amici, le opere raccolte da Silvia Giacomoni e Giorgio Bocca non si sono mai fermate in una configurazione stabile, ma hanno vissuto, interagito, respirato». Fondata nel 1950, la galleria Salamon oggi è diretta da Matteo Salamon che ha dichiarato: «Fin dagli esordi sono stato attirato dalla pittura, sia che si tratti di Fondi Oro toscani del Trecento o dei Maestri Futuristi italiani. Cerco opere che non prescindano mai dalla bellezza e dall’autenticità, destinate a collezioni private come quella dei Bocca, dove ogni pezzo racconta una storia». La mostra si inserisce all’interno del programma che vedrà anche l’esposizione di Longari Arte Milano con «Il Teatro degli affetti: Sculture lombarde del Rinascimento». 

Lavinia Trivulzio, 05 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Oltre il Futurismo: la vita segreta della Collezione Bocca | Lavinia Trivulzio

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