Romano, classe 1964, una formazione da architetto all’Università La Sapienza, «messa da parte» per una profonda dedizione alla fotografia, che ha studiato all’Istituto Italiano di Fotografia (sempre a Roma). Membro dell’Agenzia Magnum Photo dal 2005 (con candidatura dal 2001), una collaborazione decennale con «Newsweek», Paolo Pellegrin ha vinto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui dieci World Press Photo, vari Photographer of the Year, una Leica Medal of Excellence, un Olivier Rebbot Award, l’Hansel-Mieth-Preis, il Robert Capa Gold Medal Award e il W. Eugene Smith Fund Grant nel 2006.
Un fotografo affermato a livello internazionale, oggi ufficialmente riconosciuto tra gli eredi dei grandi maestri della fotografia italiana con il premio La Nuova Scelta Italiana (vinto nell’edizione 2024 insieme a Silvio Wolf), istituito da BDC - Bonanni Del Rio Catalog e assegnato da un board di esperti composto da Giorgio De Mitri (direttore creativo, editore e curatore, fondatore di Sartoria Comunicazione), Claudia Loeffelholz (direttrice della Scuola di alta formazione e del Dipartimento educativo di FMAV), Emanuela Mirabelli (photo editor della rivista Marie Claire) ed Enrica Viganò (curatore indipendente, giornalista, editore, private art dealer e fondatore di ADMIRA, Milano).
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Jordan, «Sevla» © Paolo Pellegrin
A celebrare il premio è la sua mostra personale, «Sevla», di scena dal 21 febbraio al 27 aprile a Parma nello spazio di Borgo delle Colonne 28, curata da Annalisa D’Angelo. L’incontro con la famiglia Sevla risale al 2015, quando Pellegrin è entrato per la prima volta in contatto con loro, in un campo Rom nella periferia di Roma, per un progetto su commissione di Fotografia festival internazionale di Roma. Vi è poi tornato più volte negli anni, rappresentando sempre il lato umano e gioioso di questa incredibile comunità. «Entro in un cortile a pochi passi da ponte Marconi. Ci vivono Sevla, Vejsil, Jordan, Carlos, Leon, Romeo, Romina, Angelina, Shelly, Erma e tutti gli altri membri di una piccola comunità Rom di origine bosniaca. Una grande famiglia romana, di adozione e per scelta, che mi accoglie con naturalezza e generosità. C’è un fortissimo senso di famiglia, che sento lì. Anche se ci sono così tante persone che vanno e vengono e si sposano, o trascorrono anni lontano, e poi tornano. Sono molto uniti, sono molto vicini. Questo senso di unità e il senso di famiglia hanno la precedenza su altri aspetti della vita», spiega il fotografo.
La mostra è una selezione di una cinquantina di immagini iconiche tratte da questo progetto, a dieci anni dalla sua nascita: i giochi tra i bambini, i momenti di festa, le tavolate, lo svago e il riposo nelle giornate estive, gli incontri serali. Scatti in bianco e nero dove i contrasti, la luce, l’ombra e lo sfocato sottolineano le relazioni, la spensieratezza, i sogni e le paure di una comunità che ha nei legami familiari la radice della propria esistenza.
La matriarca Sevla proviene dal medesimo villaggio bosniaco che Pellegrin aveva documentato alla fine degli anni Ottanta. «Ora Sevla ha nove figli, oltre trenta nipoti e una grande famiglia allargata, il più giovane dei quali si identifica come italiano», spiega il fotografo. Vari ritratti sono dedicati a Jordan, uno dei figli di Sevla. È rappresentato, per esempio, mentre galleggia in una piscina, o a torso nudo appoggiato a una parete illuminato dalla luce che filtra da una tenda proiettando su di lui un’immagine simile a un cielo stellato. L’atmosfera è onirica e poetica. In altre immagini si vedono primi piani per metà avvolti nella luce e per metà inghiottiti dall’ombra, come l’identità e i pensieri dei giovani raffigurati. «Come sempre accade, la prima generazione ha avuto difficoltà a imparare l’italiano, mentre la seconda e la terza generazione lo parlano fluentemente. Penso che le generazioni più giovani, pur continuando a onorare le loro tradizioni e la loro cultura, formino più un ponte tra le due culture», spiega Pellegrin. Altre immagini ancora rappresentano la vita conviviale di sera e di notte davanti alle roulotte, nella penombra suqarciata dai lampioni, sullo sfondo i palazzi della periferia romana, dove la vita delle famiglie si svolge invece dietro tante finestre chiuse e illuminate, ognuna nella propria «solitudine». Due mondi vicini eppure distanti.
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«Sevla» © Paolo Pellegrin