«2038» (2000) di Janine Antoni

© Janine Antoni; cortesia dell’artista e di Luhring Augustine; New York

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«2038» (2000) di Janine Antoni

© Janine Antoni; cortesia dell’artista e di Luhring Augustine; New York

Per le artiste la maternità non è più un tabù

Due mostre, rispettivamente alle National Galleries of Scotland di Edimburgo e al Midlands Art Centre-Mac di Birmingham, rimuovono inibizioni e pregiudizi su un tema sino a ieri poco frequente nell’arte contemporanea

Non mancano le madri nell’arte occidentale, ma le rappresentazioni della maternità reale e vissuta sono una rarità. Per le donne artiste che lottano per ottenere il riconoscimento in questo territorio maschio-centrico, la maternità è stata trattata come un fardello da superare, non come un soggetto degno di essere raffigurato. Da qui il perdurante valore attribuito alla triste osservazione del critico Cyril Connolly, secondo il quale «non c’è nemico più cupo della buona arte che una carrozzina in casa».

Naturalmente ci sono state eccezioni degne di nota. Vengono in mente le strazianti pitture di Frida Kahlo sul suo aborto spontaneo e i feroci conflitti di amore-odio di Louise Bourgeois nei confronti della figura materna. Ora due importanti mostre istituzionali in tournée in Gran Bretagna permettono di trattare la complessità della maternità con la serietà e il rispetto che merita questo tema fondamentale. 

«Mother and Child at Breaking Point» di Maureen Scott del 1970 è la prima opera che accoglie i visitatori di «Women in Revolt! Art and Activism in the Uk 1970-1990» nel suo attuale allestimento, presentato sino al 26 gennaio 2025 alle National Galleries of Scotland di Edimburgo, così come lo era quando la mostra è stata inaugurata alla Tate Britain l’anno scorso. Questo straordinario dipinto raffigurante una madre dagli occhi spenti che stringe un bambino che si contorce e urla sarà posizionato all’ingresso anche quando «Women in Revolt!» si sposterà alla Whitworth Gallery di Manchester nel 2025. Aprire con un capriccio infantile molto reale, anche se raramente raffigurato, è stata una mossa curatoriale deliberata, per sottolineare come la maternità e la cura domestica siano temi chiave di questa importante rassegna di arte femminista britannica.

Latte, sangue e smagliature

Oltre all’inevitabile presenza di Mary Kelly e Susan Hiller, altre espressioni delle necessità e delle preoccupazioni della maternità sono presenti in mostra nella scultura tessile di una salopette di Su Richardson, addobbata con diversi accessori usati dalle madri nel corso della giornata: un orologio, utensili da cucina, liste interminabili. Baker, Hiller e Kelly sono anche tra le oltre 60 artiste incluse in un’altra innovativa rassegna, questa volta dedicata interamente alla maternità. «Acts of Creation: On Art and Motherhood», aperta sino al 29 settembre al Midlands Art Centre-Mac di Birmingham e curata dalla scrittrice Hettie Judah (autrice del volume In Art and Motherhood, pubblicato da Thames & Hudson) riunisce una vasta gamma di opere di artiste moderne e contemporanee.

Spaziando dal classico femminismo Agitprop degli anni Sessanta a opere realizzate da artiste contemporanee di tutto il mondo, senza dimenticare il concepimento, la nascita e la cura dei bambini, nonché la perdita e l’assenza di figli, questa mostra percorre tutta la gamma delle emozioni umane, dalla gioia e dal trauma al dolore, alla celebrazione e molto altro ancora.

Wangechi Mutu evoca la fertilità con un oggetto rituale ricavato da corna di mucca fuse con tacchi a spillo e «imbalsamate» nel fango keniota, mentre Lea Cetera ha creato una clessidra sotto forma di doppio utero e tube di falloppio in cui la sabbia che segna il trascorrere del tempo si è esaurita, come sottolinea anche il severo titolo «You can’t have it all» (2022).

I tabù relativi alla rappresentazione del latte materno, del sangue mestruale, delle feci e delle smagliature vengono allegramente disattesi dalle artiste che mostrano con disinvoltura i fluidi corporei e la realtà fisica della riproduzione. In un magnifico autoritratto a pastello del 1990, Claudette Johnson rende omaggio al suo corpo nudo post parto. Nel 1984, il filmato di Catherine Elwes che ritraeva il suo seno in fase di allattamento fu giudicato non trasmissibile da un regista televisivo di Channel 4; ora, più di tre decenni dopo, trova dei compagni contemporanei nella squisita natura morta di Caroline Walker, dipinta nel 2022 con biberon e tiralatte, e nella serie «Wet Job» di Camille Henrot del 2019: succosi acquerelli che ritraggono madri che si tirano il latte spruzzando spudoratamente in tutte le direzioni.

Mi dispiace, Cyril, ma quella carrozzina non è mai stata nemica dell’arte; è stata un’ispirazione e ora è inarrestabile.

Louisa Buck, 29 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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