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Fabio Mauri, «Non ero nuovo», 2009. Taglio su zerbino 200 x 420 x 1.9 cm. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser&Wirth

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Fabio Mauri, «Non ero nuovo», 2009. Taglio su zerbino 200 x 420 x 1.9 cm. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser&Wirth

Pisa, una tendenza chiamata «tempismo»

Al Museo della Grafica i contemporanei affascinati dal sentimento del tempo

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Laura Lombardi

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Il tempo e il sentimento del tempo, per usare una definizione di Giuseppe Ungaretti, è da sempre nodo centrale della ricerca artistica. La mostra «Il tempo e le opere» curata da Massimo Melotti al Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi propone fino all’11 marzo alcune interpretazioni esemplari di artisti di generazioni diverse del declinarsi di questo tema nella contemporaneità. Emblematico, in tal senso, il lavoro concettuale che Roman Opalka porta avanti per tutta la vita, fino alla morte nel 2011, con la progressione dei numeri, la voce che li pronuncia e l’autoritratto scattato alla fine di ogni giornata di lavoro. Oppure il divario tra tempo assoluto e tempo relativo posto nelle opere di Fabio Mauri, dove è in scena il crollo delle certezze dell’uomo contemporaneo, segnato dalla memoria della guerra e da altre pratiche oppressive.

La condizione umana sempre soggetta a condizionamenti spazio-temporali, in cui il ricordo riporta alla luce ciò che il tempo ha cancellato, ispira la serie fotografica di Andrea Santarlasci «Eterocronia», mentre la dimensione antropologica è al centro del lavoro di Claudio Costa, tra maschere, cerimoniali e riti nei quali si intersecano scoperta e produzione, elementi primordiali e tecnologici. Il senso del tempo scaturisce anche dal confronto tra culture diverse nei video di Jasmina Metwaly (1982), attivista politica impegnata nei Paesi arabi. Francesco Jodice affronta l’imperscrutabilità della definizione di tempo: la scultura del dio «Atlante» è circondata da un mix di immagini tratte da contesti eterogenei. Federico De Leonardis con l’installazione «Orizzontale 2» pensata per gli spazi della mostra, recupera manufatti potentemente simbolici carichi di energia.

Poi c’è il tempo futuro, quello delle risorse del nostro pianeta e del destino del mondo globalizzato cui si rivolge il lavoro di Giorgio Cugno, ideato in Colombia nel 2014. Senza dimenticare la potenza della musica che tutto invade fino ad alterare la percezione visiva (Mariateresa Sartori) e il tempo dell’inconscio, quella dimensione che solo l’ipnosi può cogliere, come nei film e nelle installazioni di Gianluca e Massimiliano De Serio.

Fabio Mauri, «Non ero nuovo», 2009. Taglio su zerbino 200 x 420 x 1.9 cm. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser&Wirth

Laura Lombardi, 16 febbraio 2018 | © Riproduzione riservata

Pisa, una tendenza chiamata «tempismo» | Laura Lombardi

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