«Rovine e rivelazioni», questo il titolo della mostra di Gianni Politi presso Lorcan O’Neill, dal 5 febbraio al 27 aprile. Un titolo che racchiude, nei due termini emblematici, al contempo un manifesto programmatico e una visione del mondo. Artista romano, nato nel 1986, Politi è aduso ad abbinare pittura e pensiero, immagine e meditazione.
Anche nella mostra romana, dove presenta dipinti, grandi opere su carta, sculture in bronzo e alluminio, l’operato di Politi si afferma sull’orizzonte di una riflessione sul tempo della pittura, sia in senso cronologico (la storia), che psicologico (la durata). Le grandi campiture di colore squillante procedono nello spazio dell’opera, accostate mediante tecnica di collage di ritagli pittorici, con un ritmo solenne e rallentato, quasi a rievocare un’enfasi d’altri secoli, quando la pittura era costituita da architetture di grande intensità espressiva. La contemporaneità di Politi si alimenti infatti di suggestioni di antico, la sua concezione dell’immagine scaturisce dall’amore per l’arte ammirata nei musei e nelle cappelle delle chiese. Roma ne è piena.
Da questo infinito archivio, Politi trae il grande respiro delle sue composizioni cromatiche, oscillando liberamente da esiti astratti ad altri figurativi, non sussistendo in lui, in verità, un confine netto tra i due mondi espressivi. È così che in mostra si vedranno, oltre lavori astratti di grande dimensione, anche più piccole nature morte, eseguite con la tecnica del ritaglio cartaceo. Nell’ambiente si scorgeranno anche due sculture bronzee di agnelli, animali innocenti e sacri, ritenuti dall’artista protettivi delle sue opere. E poi le sedie da cui contemplare le opere: anche queste ha disegnato Politi, ma con un pizzico di poetica crudeltà, essendo queste sedute realizzate in alluminio, il calco di rimanenze di vecchi telai che il pittore aveva nello studio.
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Gianni Politi, «The Mean Machine Revised», 2024, Galleria Lorcan O’Neill