Ad Ariccia, presso Roma, la mostra «Bernini e la pittura del ’600. Dipinti dalla Collezione Koelliker», aperta dal 7 dicembre al 18 maggio 2025, getta luce su un capitolo poco documentato del grande scultore e architetto barocco: la sua produzione su tela. E lo fa attingendo a una delle maggiori collezioni d’arte italiane, quella del milanese Luigi Koelliker. Di proprietà dell’appassionato d’arte sono infatti tutte le 45 opere riunite nella mostra curata da Francesco Petrucci, esperto d’arte seicentesca e berniniana, nonché Conservatore di Palazzo Chigi.
Il quesito a base della mostra è: quanto influì la pittura nelle concezioni estetiche di Bernini, mettendo in conto che del «bel composto» di tutte le arti visuali, l’arte del pennello costituiva, assieme a scultura, architettura e arti decorative, componente irrinunciabile? E quanto c’è di pittorico nella scultura berniniana, e di scultoreo nella sua pittura? Le risposte sono rintracciabili nelle opere in mostra. Di Bernini, «Autoritratto mentre disegna» (1623-24), «Ritratto di Virginio Cesarini» (1623-24), «Ritratto di Luigi Bernini» (1635), «Levantino sdraiato» (1648-50), «Cristo alla colonna» (s.d.) e «Ritratto di Pietro Bernini» (s.d.). Ma sempre dello stesso autore, e non solo per questa mostra, a Palazzo Chigi (che proprio da Bernini venne ristrutturato nel 1664-72), figura, su una parete della cappella, un san Giuseppe con in braccio il Bambino, dipinta a sanguigna e firmata: «Eques Io Laurentius Berninus Fac: Anno domini MDCLXIII».
Il confronto con il genio del Barocco è istituito in prima istanza con opere di suoi allievi, collaboratori o seguaci più stretti, dal Baciccio, al Borgognone, al Cerrini, al Gimignani. Ma poi anche con numerosi altri protagonisti dell’epopea barocca delle arti, e relativi riflessi in stili altri ma contemporanei: Lanfranco, Pietro da Cortona, Mellin, Cantarini, Preti, Brandi, Maratti, Gherardi, Mola, Mei, Seiter e altri. Aspetto storiograficamente curioso rilevato da Petrucci è che la produzione pittorica di Gian Lorenzo Bernini fu molto più ampia di quanto oggi conosciuto. Lo attestano i suoi biografi, da Filippo Baldinucci, nel 1682, al figlio Domenico Bernini, nel 1713. Uno strano destino ha voluto che molto di ciò andasse disperso, creando una lacuna critica nel discorso della sintesi teatrale delle arti, approntata da Bernini a ogni invenzione. Lacuna riempita dai seguaci.