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Intsallation view della mostra di Sarah Rossiter «Imprint» da Febo & Dafne

Cortesia di Febo & Dafne

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Intsallation view della mostra di Sarah Rossiter «Imprint» da Febo & Dafne

Cortesia di Febo & Dafne

Sarah Rossiter: la pittura come archivio dell’effimero

Il percorso espositivo dell’artista americana è stato ispirato dagli innumerevoli spostamenti geografici che ha affrontato negli anni della pandemia

«Questa è la mia prima mostra di dipinti astratti dopo 20 anni di attività come fotografa. Negli ultimi 5 anni sono stata sempre in movimento, trasferendomi da Los Angeles a New York, alle Hawaii, in Messico e ora a Parigi, e il lavoro si è sviluppato da questa esperienza di continua transizione». Così racconta Sarah Rossiter, artista americana con una pratica trasversale che l’ha fatta apprezzare a partire dagli anni Novanta a New York, con mostre da Andrea Rosen Gallery e da Thomas Erben Gallery. La galleria Febo e Dafne di Torino la propone a distanza di un po’ di anni dall’ultima personale con «Imprint» a cura di Carina Leal. Il percorso segna un nuovo capitolo della sua ricerca artistica, portando per la prima volta in Italia una serie di dipinti astratti realizzati in Francia. La sua pratica, da sempre in dialogo con la fotografia e la scultura, si muove ora verso una riflessione sulla pittura come traccia, come residuo di un processo tanto fisico quanto mentale. L’artista abbraccia l’imprevedibilità della materia e della memoria, lavorando su una tensione costante tra intenzione e casualità, controllo e dispersione. Rossiter utilizza una tecnica di trasferimento in monoprint: i dipinti originali su carta vengono impressi sulla tela, in un atto che accoglie l’imperfezione come parte fondante dell’opera. Il gesto pittorico, dunque, non è mai definitivo, ma il risultato di una sovrapposizione di strati, di un processo in cui il tempo e la materia partecipano attivamente alla costruzione dell’immagine. La carta, che viene poi scartata, diventa simbolo dell’impermanenza, mentre la tela trattiene l’eco di un’azione ormai passata. A proposito della sua pratica, l’artista spiega: «Come ogni luogo ha lasciato la sua impronta su di me, esploro la presenza e l’assenza attraverso un processo di trasferimento mono-stampa. Realizzo grandi dipinti su carta sul pavimento e poi li stampo su tela per creare l'immagine finale. Da un lato per filtrare il processo performativo come un ricordo, dall’altro per rivelare un risultato che rifletta maggiormente l’energia dei segni e dei gesti. Il mio processo abbraccia il caso, permettendo a risultati inaspettati di emergere da questa collaborazione tra intenzione artistica e processo materiale. Realizzando opere a una velocità che supera il pensiero cosciente, alterno la creazione di segni intenzionali a un flusso intuitivo. Questa tensione tra controllato e fluido riflette il continuo passaggio tra la nostra esperienza umana condizionata e le spirali della coscienza universale». Ciò che colpisce nella sua pittura è la capacità di condensare esperienze vissute e realtà lontane, restituendole in una dimensione visiva che sfida la linearità del tempo. I lavori più recenti dialogano con la tensione del presente. Gli arancioni vibranti e i pastelli delicati si alternano a bianchi sovrapposti che sembrano velare e proteggere, come se ogni quadro fosse un palinsesto in cui le immagini si depositano e scompaiono.

Una delle opere della serie «Imprint» di Sarah Rossiter. Cortesia dell’artista e di Febo & Dafne

La pittura di Rossiter non è descrittiva, né narrativamente esplicita. Piuttosto, costruisce un sistema visivo in cui la memoria diventa materia, la percezione si sfalda, e il colore si fa vettore di una presenza mutevole. Gli ori e gli argenti evocano una dimensione eterea e trascendente, mentre i toni fluorescenti rimandano a materiali industriali, a una contemporaneità satura e instabile. Questo equilibrio tra artificio e natura, tra gesto controllato e flusso istintivo, riflette il cuore della sua poetica: un’indagine sulla fragilità della forma e sulla possibilità della pittura di farsi traccia di un passaggio, di un’esperienza che si dissolve nell’atto stesso della sua registrazione. In «Imprint», Rossiter ci invita a considerare il quadro non come oggetto, ma come evento: un frammento di tempo fissato sulla tela, un’eco della trasformazione continua della coscienza e dello spazio. La sua pittura è, in definitiva, un dispositivo di memoria, un archivio dell’effimero, un tentativo di catturare l’imprendibile. «I dipinti di questa mostra si sono evoluti dalla mia precedente pratica fotografica e ne replicano alcuni aspetti: l’uso di un negativo o di un processo intermedio che registra e poi crea l’opera, così come l’aspetto performativo dell’uso del mio corpo e della sua presenza come soggetto (ma ora attraverso il movimento e il gesto), e l’intensità del colore visto attraverso la luce e il pigmento», spiega ancora l’autrice. Ex allieva del fotografo Gregory Crewdson, Sarah Rossiter ha partecipato al collettivo artistico fierce pussy (1991), ha co-fondato ART CLUB2000 (1992) e in seguito la Velocity Gallery (1997) a Brooklyn, dove ha ospitato artiste emergenti e ha realizzato una mostra che è apparsa sulla prima pagina del New York Times Arts Section con una recensione di Roberta Smith nel novembre 1998.

Monica Trigona, 17 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Sarah Rossiter: la pittura come archivio dell’effimero | Monica Trigona

Sarah Rossiter: la pittura come archivio dell’effimero | Monica Trigona